da Qualcosa di sinistra di Salvatore Veca
La fiducia nelle norme fondamentali e nelle istituzioni su cui si realizza l'impresa sociale; la fiducia reciproca tra tutti i componenti di una società; la stima per sé stessi e la stima e il rispetto che è dovuto agli altri; la capacità di affermare i propri progetti di vita e di migliorare la propria condizione rispetto alla lotteria della natura; l’equità sociale e la capacità di esercizio dei diritti di cittadinanza…
sono i risultati di un processo evolutivo della cultura e del patrimonio genetico della specie umana che ci ha portati alla realizzazione di società sempre più complesse a partire dal nostro senso, il senso che fa essere veramente un caso speciale, come dice Haidt, la specie umana, il senso che ci permettere di condividere le intenzioni dei nostri simili e di realizzare insieme imprese cooperative per la reciproca affermazione attraverso la necessità di riconoscersi e di essere riconosciuti. Reciproco riconoscimento che avviene anche attraverso il linguaggio, in cui si realizza la nostra vita, o meglio intelligenza, emotiva che, attraverso le nostre capacità empatiche, permette la condivisione delle nostre emozioni e la realizzazione delle relazioni su cui si fonda la vita sociale. In particolare codificando e realizzando quei sentimenti, come la vergogna o la colpa, che consentono di edificare quelle matrici morali che permettono di tenere insieme le la nostra impresa sociale.Di seguito si capirà perché, se vengono meno la fiducia e il rispetto di sé, la matrice morale esplode, riconducendo gli esseri umani verso quell’egoismo primordiale che non ha consentito ad altre specie di evolversi come la nostra, e che ci ricondurrebbe ad uno stato in cui la lotteria naturale agirebbe in modo catastrofico contro i pilastri su cui abbiamo costruito la nostra civiltà.
Esiste pertanto un filo che lega insieme il rispetto e la stima per i propri simili e per sé stessi e la realizzazione di una società equa e che crei per ogni singolo individuo le condizioni e le opportunità per la realizzazione delle proprie capacità attraverso la partecipazione all’impresa sociale e al progresso dell’umanità.
Come scrive Salvatore Veca, nel suo ultimo saggio Qualcosa di sinistra, si è fatta strada in questi anni tra le periferie e i territori metropolitani, nelle città sempre più multietniche, nelle piazze e nelle terre dei fuochi, una cultura che ha portato al “collasso delle basi sociali del “rispetto di sé”.
Secondo Rawls “il rispetto di sé” è decisivo per una società che si ispira da valori morali della affermazione del bene, di piani di vita che realizzano la libertà di ognuno attraverso il miglioramento della propria condizione e compiendo tutto l’indispensabile per esprimere al meglio le proprie capacità morali. Il “rispetto di sé” è altresì decisivo per la realizzazione di una società del mutuo riconoscimento e dell’equità nella distribuzione delle opportunità per ognuno.
Il rispetto di sé non può essere affermato se si impedisce il riconoscimento reciproco del proprio valore, come individuo umano che coopera all’impresa sociale. Oggi il 99% delle vite è diventato vita di scarto, vita senza senso, vita di “consumatori mancati” a fronte di un messaggio costante e pervasivo che invita alla realizzazione della felicità attraverso il consumo, attraverso lo shopping. Come dice Bauman, i negozi sono diventati le farmacie per tutte le inquietudini della vita.
In questo vortice “la pluralità delle ragioni di eleggibilità di una vita… è negata e irrisa”1, mentre “il patto sociale è infranto e torna sulla scena il contratto iniquo fra chi ha e chi non ha”, così viene meno la consapevolezza che “ciascuno di noi deve qualcosa a ciascun altro” e che siamo coinvolti in una unica impresa.
La sfiducia diventa il sentimento più diffuso, con l’effetto dirompente di rottura del vincolo o del legame sociale. In questo clima il destino di una vita, il progetto di una vita, ritorna ad essere plasmato e dominato dall’arbitrarietà morale della nascita, dove qualsiasi idea di uguale considerazione e rispetto per le persone è cancellato. Mentre si afferma una concezione che viola e deride l’idea dell’uguaglianza di opportunità per tutti.
È proprio per questo motivo per cui una politica di sinistra deve essere volta a ridurre le ineguaglianze. Come ha ben chiarito Amartya Sen, non vi può essere vera democrazia se non vi sono uguali opportunità, se non vi sono politiche volte a “rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno esercizio dei diritti di cittadinanza2 (art. 3 della Costituzione italiana).
La realizzazione di un a maggiore equità sociale non si risolve attraverso la ricerca di una soluzione al problema distributivo di ripartizione dei benefici.
La realizzazione di una maggiore equità sociale corrisponde all’impegno per rimuovere gli ostacoli economici, sociali, culturali che impediscono il pieno esercizio dei diritti di cittadinanza e il perseguimento di piani di vita razionali e corrispondenti alla ragionevole vocazione di ogni singolo. In tal senso più che un investimento in protezione è necessario un investimento in servizi, in cultura e formazione con una forma di intervento sociale che stimoli e sostenga lo sforzo di ognuno al miglioramento delle proprie condizioni di vita e alla ricerca della felicità. Un investimento sull’apertura, il cambiamento e la ricerca come risposta allo stesso sviluppo e alla moltiplicazione delle opportunità, in società che devono essere sempre più aperte, e inclusive, tecnologiche ma attente al problema del limite e della sostenibilità nell’uso delle risorse del pianeta.
A fronte del venir meno dei valori e dei principi della coesione e insieme ad essi dei progetti di vita delle persone, la sinistra si deve assumere il compito di essere generatrice di una “ragionevole speranza”, facendo leva “sia sulle ragioni dell’equità sociale sia sulle emozioni e sul senso di giustizia3”.
Legittimazione dello Stato, società bene ordinata e intenzionalità condivisa
In questi anni il populismo ha posto un problema rispetto alla legittimazione dei ceti dirigenti e dello Stato. La delegittimazione della scienza come la delegittimazione dello Istituzioni sulla base di una cultura pseudo tradizionalista e pseudo ambientalista, rappresenta il più grave attacco alla società nata con la rivoluzione scientifica e la democrazia liberale. Obiettivo di queste culture è di sgretolare la fiducia su cui si erge tutto il sistema delle istituzioni e delle relazioni.
Salvatore Veca individua una condizione di “soglia”, una condizione minimale, rispetto alla quale si possa dire che una richiesta elementare di legittimità o di legittimazione possa considerarsi soddisfatta per un assetto delle istituzioni fondamentali di una società che rende possibile la sopravvivenza di patto di cittadinanza.
Veca chiama questa condizione di soglia “condizione hobbesiana”. Tale condizione permette la sussistenza di un qualunque patto di cittadinanza rispetto ad un ritorno al cosiddetto stato di natura.
Possiamo dire che l’elemento base di questa condizione sia la “fiducia”. La fiducia genera una convergenza di aspettative tra individui, una convergenza rispetto a ciò che ci possiamo attendere gli dagli altri e di cosa gli altri si possano attendere da noi. Questo equilibrio delle attese fondato sulla fiducia genera stabilità e sicurezza. Dice infatti Veca “nel soddisfare la richiesta elementare di legittimazione, lo Stato genera fiducia, favorendo la stabilità e la convergenza delle aspettative e, in vario modo, esercitando la funzione di protezione.4” La soddisfazione di questa richiesta è anche la “condizione base dell’ordine politico, in cui l’esercizio di potere di persone su altre persone non può essere mera coercizione, ma ha bisogno di avvalersi di risorse di legittimità.5”
Queste risorse di legittimità possono essere acquisite dal potere politico attraverso la propria prassi operativa e gli strumenti del consenso, oppure possono essere perse attraverso attività e azioni che fanno venire meno la fiducia.
La fiducia che crea mutue aspettative, e quindi risorse di legittimità e di legittimazione, può essere considerata come il sentimento che si trova a base della socialità fungendo da collante del patto sociale e dei sentimenti sociali. In definitiva sulla fiducia è riposta anche la legittimità delle istituzioni, dalle elementari che riguardano i rapporti tra persone come la famiglia oppure le varie realtà associative, alle più complesse, che sorreggono la società e lo Stato.
La fiducia, possiamo dire, è per John Rawls, il sentimento su cui si fonda una società “bene ordinata”, una società cioè in cui “i cittadini vogliono cooperare politicamente l’uno con l’altro in modi che soddisfino il principio liberale di legittimità, cioè a condizioni che possano essere pubblicamente giustificate davanti a tutti alla luce dei valori politici condivisi”.6 Cooperare politicamente vuol dire riconoscere reciprocamente i principi della mutua collaborazione; principi sulla base dei quali ognuno di noi sa cosa si può ragionevolmente aspettare dal comportamento luno degli altri. I valori politici condivisi sono le regole di questa società.
I valori politici condivisi realizzano una comunità politica, nel senso anche di una comunità che condivide valori comuni quali condizione della vita di ognuno e della vita della comunità. La società politica è un bene per i cittadini in quanto “essa assicura loro il bene della giustizia e le basi sociali del rispetto, reciproco e di sé; per esempio, in quanto assicuragli uguali diritti e le uguali libertà di base nonché le eque opportunità, la società politica garantisce alle persone il pubblico riconoscimento del loro essere libere e uguali; e in quanto assicura tutto questo risponde ai loro bisogni fondamentali.”7
Rispetto reciproco e rispetto di sé, condivisione dei valori politici, cioè delle regole su cui si costruisce il rispetto reciproco e quindi la fiducia, sono le basi della società bene ordinata e il presupposto per la legittimazione delle istituzioni.
Il bene politico e il bene individuale creano un circuito che non è possibile spezzare in una società che promuove tali valori, in tale sistema i cittadini in quanto individui hanno modo di esprimere pienamente le loro virtù morali, sociali, realizzando la stabilità e il bene sociale “una società bene ordinata è stabile perché i cittadini tutto sommato, sono soddisfatti della sua struttura di base.”8
I cittadini “Sono mossi non dalla percezione di minacce o pericoli esterni, ma da considerazioni riconducibili alla concezione politica che tutti quanti sostengono; nella società bene ordinata dalla giustizia come equità, infatti, il giusto e il bene … si combinano l’uno con l’altro in modo che quei cittadini che considerano parte del loro bene l’essere ragionevoli e razionali, nonché l’essere considerati tali dagli altri, sono indotti da ragioni riconducibili al loro stesso bene a fare ciò che la giustizia prescrive; e fra queste ragioni c’è anche ... il bene della stessa società politica.”9
Il fatto di potersi fidare gli uni degli altri e, in tal modo, di poter prevedere i comportamenti e le intenzioni, fanno si che ognuno possa perseguire in una comunità la realizzazione del bene comune e del bene individuale, cioè del proprio piano di vita razionale.
La psicologia morale considera la fiducia e l’intenzionalità condivisa come condizioni che ha portato all’evoluzione della specie umana e alla nascita della morale.
La fiducia, secondo Jonathan Haidt, è alla base della realizzazione delle matrici morali sule quali regoliamo le relazioni con i nostri simili e più in generale con l’ambiente in cui viviamo.
“la comparsa della capacità squisitamente umana di condividere intenzioni e rappresentazioni mentali… ha permesso ai primi esseri umani di cooperare, dividere il lavoro ed elaborare norme comuni per giudicare il rispettivo comportamento. Queste norme comuni hanno dato origine alla matrici morali che disciplinano le nostre le nostre vite sociali oggi. … Quando i nostri antenati hanno “varcato il Rubicone” e cominciato a condividere le proprie intenzioni, la nostra evoluzione ha preso un duplice corso. Le persone hanno creato nuove usanze, norme e istituzioni che hanno modificato il grado di adattamento di molti tratti gruppisti. In particolare, la coevoluzione di geni e cultura ci hanno dotato di un insieme di istinti tribali: amiamo esibire segni di appartenenza a un gruppo e preferiamo cooperare con persone che fanno parte del nostro gruppo. … La coevoluzione di geni e cultura ha raggiunto un parossismo nel corso degli ultimi dodicimila anni. … Noi umani abbiamo una duplice natura: siamo primati egoisti che desiderano far parte di qualcosa di più grande e più nobile di noi.10”
Secondo Johnatan Haidt la società e la socialità nascono dal bisogno di sopprimere l’egoismo e non da un patto per il reciproco interesse. Con la socialità e la società nasce contestualmente il codice morale che regola le relazioni tra i componenti dell’impresa sociale: “la moralità è un qualsiasi sistema di valori, pratiche, istituzioni e meccanismi psicologici che collaborano per sopprimere o regolare l'egoismo e rendere possibile la vita sociale . Si scopre che le società umane hanno trovato diversi approcci radicalmente diversi per sopprimere l'egoismo11”, ma tutte, secondo gli psicologi, sembrano condividere due presupposti che regolano i meccanismo morali e tali presupposti sembrano essere innati: “le persone in tutte le culture sono emotivamente sensibili alla sofferenza e ai danni, in particolare i danni violenti, e quindi quasi tutte le culture hanno norme o leggi per proteggere le persone e incoraggiare le cure per i più vulnerabili. Secondo, le persone in tutte le culture sono emotivamente sensibili alle questioni di equità e reciprocità, che spesso si espandono in nozioni di diritti e giustizia”.
Questi presupposti concordano con le esigenze filosofiche di legittimazione del patto sociale, infatti, dice Haidt “gli sforzi filosofici per giustificare le democrazie liberali e i contratti sociali egualitari si basano invariabilmente sulle intuizioni sull'equità e sulla reciprocità.”
Responsabilità.
La fiducia si realizza innanzitutto in termini di responsabilità. La psicologia morale sviluppa un proprio concetto di responsabilità con sorprendenti effetti sulla teoria politica in termini di costruzione della morale che non parta da principi teleologici o metafisici. “Gli esseri umani – dice Haidt – sono campioni mondiali quando si tratta di cooperare di cooperare superando i legami di parentela – cosa che invece è presente in altre specie come formiche api -. Questo primato si deve in gran parte alla creazione di sistemi di responsabilità formale e informale. Siamo davvero bravi a ritenere gli altri responsabili delle loro azioni, e siamo altrettanto capaci di muoverci in un mondo nel quale gli altri ci ritengono responsabili di ciò che facciamo.12”
La responsabilità non è corrispondenza ad un sistema di valori etici dato, ma si definisce in un gioco di attribuzione che riguarda il bisogno di essere riconosciuti e di vedersi attribuita una reputazione da esibire per marcare il proprio ruolo sociale o semplicemente per avere accesso alla vita delle relazioni sociali. La responsabilità nasce da “l’esplicita aspettativa per cui una persona sarà chiamata a giustificare agli altri le proprie convinzioni, i propri sentimenti o le proprie azioni”, a cui si affianca l’aspettativa per cui la gente ci ricompenserà o ci punirà sulla base di quanto siamo capaci di giustificare noi stessi.” Si tratta di una definizione empirica che considera la responsabilità alla stregua di ogni altro espediente realizzato in vista di un adattamento evolutivo. Il razionalismo, al contrario, considera la responsabilità come corrispondenza ad un qualche sistema etico che nasce da una definizione della natura umana per via metafisica o filosofica. Inoltre, considerando la natura della nostra razionalità volta alla conferma di del senso di autostima, gli individui si comportano più come “politici intuitivi” che come soggetti che interpretano dei valori etici o morali eterni.
Pertanto la nostra presunta razionalità e la nostra capacità di valutare e di giudicare assume una contorsione che proviene dal funzionamento delle reti della responsabilità. Infatti, l’esigenza di esprimere un giudizio più neutrale o “esplorativo”, rispetto a quella che al contrario potrebbe essere una razionalizzazione confermativa di un “giudizio” già preso avviene in presenza di un uditorio che il decisore reputa ben informato e interessato all’esattezza delle scelte fatte. Negli altri casi il senso di responsabilità si limita ad accrescere il pensiero confermativo.
“Una funzione centrale del pensiero è assicurare che si agisca secondo modalità che possano essere legittimate o giustificate agli occhi degli altri in modo convincente. … i decisori non si limitano a cercare ragioni convincenti in favore di una scelta quando si tratta di spiegarla agli altri, ma cercano ragioni per convincere sé stessi di avere fatto la scelta giusta.” Il ragionamento cosciente è quindi finalizzato alla persuasione, di sé stessi e degli altri, più che alla scoperta, tanto che, dice Tetlock “il nostro pensiero morale è molto più simile a quello di un politico a caccia di voti che a quello di uno scienziato alla ricerca della verità”.
Autostima.
In senso pragmatico la responsabilità e il pensiero morale nascono dal bisogno degli esseri umani di pensare bene di sé stessi e ciò è dovuto al fatto che “per milioni di anni la sopravvivenza dei nostri antenati è dipesa dalla capacità di far parte di piccoli gruppi di individui e di ottenere la fiducia: se in questo si può ravvisare un istinto innato, quindi deve trattarsi dell’istinto di indurre gli altri a pensare bene di noi13”.
Ci interessa quindi conquistare l’approvazione degli altri per un motivo di sopravvivenza, questa approvazione che di cui gli individui sono costantemente in cerca nella forma di una domanda tesa a farci valutare a farci dire come se “siamo andati bene”. Questa conquista ci permette di costruire il nostro senso di fiducia e di autostima: l’autostima e il bisogno di pensare bene di noi stessi sarebbero quindi il fulcro della socialità. Si può quindi considerare “l’autostima come un criterio di misurazione interno, una specie di “sociomentro” che misura continuamente la nostra capacità di intrattenere relazioni.” Il “sociometro” dell’autostima agisce sul nostro comportamento portandolo ad adattarsi al fine di mantenere in equilibrio la relazione e stabile, o migliorare, il senso di autostima. Infatti, “ogni volta che la lancetta del sociometro precipita sotto un certo livello scatta un allarme e il nostro comportamento si modifica14”.
Numerosi esperimenti dimostrano che solo dati soggetti risultano immuni al senso di autostima, ci interessa molto ciò che gli altri pensano di noi; la mancanza di tale interesse contraddistingue il comportamento degli psicopatici o sociopatici. Anche se non tutti sono disposti ad ammettere una tale influenza, si può dire che ciò accade perché “il sociomentro opera a un livello inconscio e pre-attentivo: sonda l’ambiente sociale alla ricerca di qualsiasi indicazione del fatto che il proprio valore relazionale sia basso comunque decrescente15”.. Il sociometro fa parte dell’elefante e non del portatore, come dire: la fiducia appartiene alla dimensione intuitiva della nostra capacità emotiva ed intellettiva, non alla capacità di discernimento razionale. L’autostima rappresenta l’altra faccia della medaglia, come fiducia in noi stessi, della fiducia verso il comportamento dei propri simili.
Dal nostro grado di autostima, e quindi dalla sicurezza che riscontriamo rispetto alle attese verso il comportamento dei nostri simili e quindi il riconoscimento delle nostre azioni e capacità, dipende la capacità di formulare quello che Rawls definisce il nostro “piano di vita razionale”, cioè la capacità di promuovere noi stessi e le nostre capacità in un equilibrio di relazioni positive, in cooperazione, con il resto della società. Per promuovere questo piano di vita razionale, Rawls, nella Teoria della giustizia, ha individuato dei principi che rappresentano i presupposti per la realizzazione di una società equa in cui ad essere centrale è la promozione della capacità che rendono migliore la qualità della vita di almeno qualcuno tra quelli che stanno in fondo alla graduatoria del benessere.