giovedì 14 giugno 2018

Raymond Aron 0.1 - Il riformismo è la vera rivoluzione


Nella visione di Raymond Aron il cambiamento e il miglioramento delle condizioni sociali, l’uguaglianza di risorse e di opportunità, può essere affrontato in modo efficiente soltanto in un quadro di istituzioni liberali e democratiche e, riguardo l’intervento politico, esclusivamente da una prassi orientata al riformismo. La convinzione di Aron si ispira ad una sorta di pragmatismo che riconosce nella realtà sociale e storica il banco di prova per le teorie, quanto il limite invalicabile per ogni ideologia. L’”oppio degli intellettuali” sono tutti quei miti della conoscenza e della vocazione politica che impediscono la comprensione dei fatti, sociali  o economici, e della realtà storica in quando li racchiudono in schemi che spesso  rispondono ad aspirazioni volontaristiche di natura morale, secolarizzata o religiosa, camuffate, da supposte leggi della storia, dell’economia o della società.
Raymond Aron aderisce ad una lettura del progresso sociale in cui le istanze del rinnovamento, proveniente dalla ricerca scientifica e dalla tecnologia, contribuiscono in modo dialettico alla realizzazione del progresso economico insieme al miglioramento delle condizioni sociali. Questa dialettica si presenta con una crescita delle ineguaglianze nei momenti di espansione economica per poi tornare a livellarsi attraverso l’espansione dei diritti sociali attraverso la dinamica della cittadinanza attiva che si esprime nei diritti. La democrazia è il cemento indispensabile per la composizione dei conflitti che provengono dalle dinamiche dello sviluppo in un rapporto di equilibri che realizzano la libertà come maggiore disponibilità di risorse economiche per gli individui e maggiori opportunità di partecipazione alla vita politica e sociale.
Questa dialettica iscritta nell’atto costituivo della società moderna non ha bisogno della rivoluzione per risolvere le ingiustizie. Al contrario, le esigenze di giustizia sociale di fatto possono essere concretamente e saggiamente perseguite solo attraverso il riformismo. Aron considera le rivoluzioni e i rivoluzionari come interpreti ci una istanza negativa volontaristica ed estetizzante «molti intellettuali …   passano … dall’ateismo alla rivoluzione, non perché quest’ultima prometta di riconciliare gli uomini o di risolvere il mistero della Storia, ma in quanto distrugge un mondo [considerato moralisticamente] mediocre e odioso. … La parola révolte, come la parola nichilismo … si usa tanto spesso che si finisce per non sapere più che propriamente significhi.»[1] In questa concezione Aron accomuna tanto la destra che la sinistra.
La ripugnanza che Aron esprime di fronte ai fenomeni delle rivoluzioni è radicata nella sua chiara opzione per la pace. Citando Erodoto, Aron sostiene che nessun uomo è talmente privo di ragione da preferire la guerra alla pace. Tuttavia, per tutto il novecento, di fronte al culto fascista della violenza e ad una antropologia che vuole lo stato di guerra come condizione naturale per l’uomo, la sinistra non ha fatto altro che opporre il mito della rivoluzione quale rifugio del pensiero utopistico. Un mito imprevedibile quanto misterioso, crocevia tra l’ideale di una società migliore più equa e libera e la realtà storica dell’oppressione dell’ingiustizia realizzata nei regimi dell’est Europa. La sinistra ideologica quindi anziché esprimere ripugnanza, ha rivelato tutta la sua attrazione per il conflitto e spesso per la violenza in chiave di utopia rivoluzionaria. Un mito moralista che esalta gli animi fino al giudizio di tradimento per ogni posizione riformista. Infatti, come sostiene Aron il laburismo, la “società scandinava senza classi” non hanno mai destato nella sinistra europea i medesimi entusiasmi che hanno suscitato le cosiddette rivoluzioni.[2] Il mito della palingenesi rivoluzionaria che vive oggi in diverse forme di anticapitalismo deve essere totamente esorcizzato dallo statuto della sinistra riformista.
Il riformismo predilige la libertà reale e diffida dei proclami che promettono un mondo ideale di piena libertà e realizzazione di sé stessi, cioè la libertà ideale. «Dove l’espansione economica progredisce, dove il livello di vita s’è innalzato, perché sacrificare le libertà reali dei proletari, per quanto parziali siano, ad una liberazione totale che si confonde stranamente con l’onnipotenza dello Stato?»[3] Aron scrive negli anni sessanta e pensa alla Francia dell’esistenzialismo sartiano, che mal si concilia con le pretese scientifiche del marxismo, e tanto meno con la realtà delle società occidentali sviluppate. Gli intellettuali puri della sinistra francese, dice Aron, considerano sterile il riformismo e, in quanto spiriti superiori, non hanno avuto modo di apprezzare quanto realizzato per i proletari dal laburismo inglese o dal sindacalismo scandinavo e si dimostrano delusi di fronte a quegli operai che scelgono i vantaggi immediati nel miglioramento delle proprie condizioni, di vita e di lavoro, piuttosto che i grandiosi progetti a lunga scadenza. Le contraddizioni della sinistra sartriana sono tutt’oggi presenti in tante posizioni della sinistra radicale e movimentista in tutta Europa.
Al contrario i nostalgici della libertà ideale trascurano queste conquiste e le condizioni concrete di una vita migliore, nel miraggio di una soppressione del lavoro salariato. Di fatto più l’industria moderna si sviluppa, maggiori diventano le possibilità concrete di liberazione che si realizzano attraverso un vincolo crescente di responsabilità sociale di tutti gli attori dello sviluppo. In questo processo «i rivoluzionari che sognano la liberazione totale non fanno altro che affrettare il ritorno alle anticaglie del dispotismo»[4] che si realizza innanzi tutto in una commistione tra potere economico e potere politico sulla cui indipendenza, invece, è fondato in raggiungimento degli obiettivi che realizzano la libertà reale. Ciò vale tanto per i radicalismo rivoluzionario di destra quanto per quello di sinistra. Al centro delle possibilità di riscatto sociale stanno la democrazia liberale e il progresso economico consentito dalle conquiste della scienza e della tecnica nella società aperta. La liberazione reale dell’operaio in Inghilterra e in Svezia è, per il radicalismo rivoluzionario, tediosa come una “domenica inglese”, dice Aron, la liberazione ideale è affascinante come un salto nel futuro o come un avvenimento catastrofico.[5]
Sicuramente il progressivo raggiungimento del benessere materiale e delle conquiste civili nel campo dei diritti lasciano poco spazio ai sostenitori della liberazione ideale e ciò consente di avere società politicamente stabili e relativamente prospere dove sono garantiti insieme alla salute e all’istruzione anche il benessere e l’opportunità di cambiare la propria condizione. Per questo è il riformismo la vera bandiera della sinistra.


[1] Raymond Aron L’oppio degli Intellettuali, 1955, Cappelli edizioni, p. 76.
[2] Raymond Aron Ibidem p. 88.
[3] Raymond Aron Ibidem p. 102.
[4] Raymond Aron Ibidem p. 119.
[5] Raymond Aron Ibidem p. 116.

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Perché non possiamo non dirci liberali. Il liberalismo critico di Raymond Aron.

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