Il concetto di uguaglianza rappresenta un profondo paradosso per la decisione politica. E, proprio per questo sono paradossali gli esiti storici che hanno avuto i tanti movimenti che ad essa si sono ispirati, i quali, perseguendo la realizzazione dell’uguaglianza, considerata come il valore che realizza la giustizia sociale, sono finiti per realizzare le più gravi ingiustizie della storia dell’umanità.
Quella dell’eguaglianza rappresenta una delle aporie fondamentali della politica. Nella nostra epoca anche i totalitarismi sono nati nel nome dell’uguaglianza. Nel nuovo millennio i populismi e, con una declinazione di chiusura verso l’altro, anche i sovranismi nazionalisti dicono di ispirarsi ad un principio di uguaglianza: il cosiddetto “primatismo” racchiuso negli slogan “prima gli italiani” o “prima gli americani” ecc. enunciano a loro modo un perimetro di eguaglianza escludente; mentre lo slogan “uno vale uno” nella sua universalità rappresenta una forma di uguaglianza che annichilisce ogni forma di pluralità nella somiglianza con una nuova forma di messianismo.
Le società, più che in termini di progresso, di sviluppo e di crescita del prodotto interno lordo, potrebbero essere valutate attraverso il caleidoscopio di quella che è sempre stata l’antinomia dell’ordine politico e della quale ogni soluzione trovata nei diversi regimi dall’antichità ad oggi appare come imperfetta. L’antinomia dell’uguaglianza, che, prima ancora di diventare un problema di perequazione, il che accade nelle moderne società industriali più o meno democratiche, racchiude la tensione che deriva dalla volontà di conciliare la disparità dei poteri e del prestigio sociale con la partecipazione di tutti alla vita della comunità.
Le società umane, dice Aron, hanno cercato di risolvere questa antinomia in due direzioni: la prima consiste nel sancire in termini istituzionali e sociali l’ineguaglianza; nel porre ognuno nella propria rispettiva categoria sociale e far accettare l’ineguaglianza di fatto e di diritto rispetto ai posti occupati nella società attraverso la cultura. La forma estrema di questo modello è il sistema delle caste. Al lato opposto, nelle attuali società democratiche, troviamo il tentativo di affermare l’uguaglianza politica degli esseri umani spingendosi sempre più avanti nella ricerca e nella realizzazione dell’uguaglianza sociale ed uguaglianza economica, cosa che non accadeva per la democrazia antica in quando fondata su di un sistema di caste socialmente perimetrate; la formula della repubblica romana possiamo dire che era invece simile all’attuale sovranismo in quanto il perimetro degli “uguali” era costituito dalla cittadinanza e dal censo. Le due macro soluzioni, tuttavia, sono destinate a rimanere sempre imperfette poiché “L’ordine dell’uguaglianza è inevitabilmente un ordine formale, che ciascun potere stabilito cerca di esaltare dissimulando le reali ineguaglianze” reali o sostanziali dovute al posto che si occupa nella scala sociale. Esiste, infatti, una contraddizione permanente tra la spinta egualitaria e la gerarchia di fatto, in cui ogni modello sociale si deve strutturare per essere governata e poter decidere. L’ineguaglianza, rispetto al problema della decisione e della gestione del potere, appartiene in modo strutturale alla natura delle società umane, tuttavia ogni forma in cui si organizza la gestione del potere, per poter legittimare e sostenere la propria esistenza, deve dissimulare questa realtà esaltando i valori di appartenenza e la legittimazione proveniente da una volontà superiore, o divina nell’antichità; oppure promovendo le eguaglianze formali e sostanziali, attraverso la perequazione delle risorse, come accade nelle società moderne.
Accade tuttavia che, nella società moderna, come aveva in modo insuperabile osservato Tocqueville, in modo paradossale, anche i regimi più autoritari tendono ad invocare la volontà popolare e l’uguaglianza. Infatti, superato l’ordine delle caste e delle classi di tipo feudale, “si possono stabilire regimi totalitari soltanto in nome della democrazia, perché tutti i regimi moderni sono fondati sul principio egualitario. Si istituisce un regime assoluto soltanto pretendendo di liberare gli uomini”. La legittimazione che i regimi riescono ad ottenere presso la volontà popolare, possiamo dire, scaturisce proprio dall’antinomia dell’uguaglianza in quanto è proprio richiamandosi a questa e ad una supposta liberazione da una qualche minaccia per la libertà del popolo, che le dittature del Ventesimo secolo si sono radicate nel tessuto sociale e istituzionale.
Ammettere l’esistenza di questa aporia, ammettere l’esistenza inevitabilmente strutturale dell’ineguaglianza tra gli esseri umani e le diverse funzioni che questi sono chiamati a svolgere nel sistema sociale è il primo passo verso una politica della ragionevolezza sulle possibilità effettive dell’impresa sociale e la realizzazione dei valori umani e delle libertà.