sabato 19 giugno 2021

Qual è il senso dell'elitismo di Raymond Aron?

Giuseppe Bedeschi1 ascrive la figura di Aron tra i teorici della teoria sociale elitista. Citando Aron, Bedeschi osserva: “Tutte le società ... per lo meno tutte le società complesse, sono governate da un piccolo numero di uomini, i regimi variano secondo il carattere della minoranza che esercita l’autorità. Di più: all’interno stesso dei partiti politici è sempre una minoranza quella che governa. A questa sorte non sfuggono nemmeno le società democratico-liberali. 

A nostro avviso rispetto a questa collocazione bisogna valutare il valore che nel pensiero di Aron è attribuito dal diverso giudizio sul positivismo e alla critica radicale, anti ideologica e anti scientista, o meglio, anti metafisica, che Aron apponeva rispetto ad ogni forma di valutazione, per così dire, scientifica, della realtà e dell’oggettività storica. Una critica che, come vedremo porta il suo pensiero ad avere maggiori affinità metodologiche con pragmatismo o addirittura con alcuni aspetti del costruttivismo politico. Ma se per elitismo intendiamo pure una visione della dinamica sociale tendente verso una continua creazione di ineguaglianze e differenziazioni di ruolo sociale, allora senz’altro, Aron può essere considerato un elitista. Ma il suo elitismo non è altro che un aspetto che scaturisce della sua idea di un meccanismo dialettico, e conflittuale, si potrebbe dire, che governa lo sviluppo sociale che non può evitare la delega e il rispetto del principio del merito nella differenziazione di ruoli e specializzazioni in ogni settore della società, come della cultura; e dall’altro non può fare a meno di delegare rispetto al problema del governo della società e della gestione del potere attraverso una democrazia che piuttosto che parificare e rendere omogenee le differenze deve, nella strada dei conflitti che portano al progresso, tendere a valorizzarle, garantendo a tutti le medesime opportunità e, “rimuovendo gli ostacoli” che a queste opportunità si frappongono. 

In tali termini la società di eguali è destinata a rimenare nel campo dell’utopia, di quella utopia che può essere valore nella sua natura di impulso al cambiamento; ma che diventa elemento di conflitto e, spesso, ostacolo al progresso quanto si trasforma in bandiere ideologica. 

Quindi la radice dell’elitismo aroniano la troviamo in una idea meritocratica che alimenta la dinamica sociale piuttosto che in un’idea di conflitto e di dominio tra ceti sociali. Un’idea che porta a ridurre il programma egualitario, fino a relegarlo al campo dell’utopia, da un lato, per poi valorizzarlo all’interno di quella stessa dinamica conflittuale del progresso che porta le società sempre più sulla strada di una maggiore specializzazione e differenziazione di ruoli e di funzioni all’interno di un quadro governato attraverso istituzioni e metodo democratico nelle società liberali, un metodo che valorizza le differenze piuttosto che parificarle. In questo quadro la libertà è il fine e non la democrazia che, di per sé considerata come legge della maggioranza, può sfociare anche nella tirannide come nel timore di Tocqueville. 

In particolare, l’elitismo si definisce in rapporto al problema del governo della società: "«La sovranità popolare – sottolinea Aron – non significa che la massa dei cittadini prenda essa stessa, direttamente, le decisioni relative alle finanze pubbliche o alla politica estera. È assurdo paragonare i regimi democratici moderni all’idea irrealizzabile di un regime in cui il popolo si governi da sé». Ma se le cose stanno così, cioè se qualunque regime politico è inevitabilmente oligarchico, è inutile fare del moralismo a questo proposito, scandalizzarsi, perseguire modelli utopistici (tipo “democrazia diretta” di roussoiana-marxiana memoria), ecc.” Il punto essenziale è piuttosto quello di sapere come l’oligarchia è costituita, quali sono le regole in base alle quali essa esercita il proprio potere, in che misura è possibile entrarvi e farne parte, qual è per la collettività il prezzo e il profitto di questo dominio e come questo si combina con quel conflitto sociale di natura democratica che porta al progresso e alla realizzazione delle libertà, che in Aron sono sinonimo anche di opportunità o, come nei principi, su cui è stata dichiarata l’indipendenza degli Stati Uniti d’America, di ricerca della felicità. 



[1] Giuseppe Bedeschi, Storia del pensiero liberale, 2015 Rubettino, e-book.

Perché non possiamo non dirci liberali. Il liberalismo critico di Raymond Aron.

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