venerdì 25 marzo 2022

Raymond Aron & Amartya Sen: “natura rivoluzionaria dell’idea di sviluppo come libertà”

La relazione tra la libertà, o meglio le libertà, e lo sviluppo nel contesto dei sistemi democratici, costituisce un terreno comune di giudizio rispetto alle problematiche di affermazione dei diritti politici, civili e dei diritti sociali di cittadinanza. Su questo terreno la prospettiva di Aron è certamente concomitante se non interconnessa con i giudizi sulle caratteristiche dello sviluppo nella relazione con l’affermazione del diritto e dei diritti individuali e di cittadinanza, di Amartya Sen. Ralf Dahrendorf si chiede, se la prosperità, che si misura in termini di incremento del pil, non sia da considerare più come in grado di misurare il livello di benessere per le popolazioni; e se la felicità rimane un elemento troppo imponderabile e personale per consentire un termine di paragone tra popoli, quale parametro allora dobbiamo utilizzare per definire effettivamente un grado di benessere che si in grado di darci un indice della qualità della vita delle persone possiamo utilizzare? La risposta di Dahrendorf è che sarà la libertà a costituire l’idea conduttrice per misurare il progresso delle cose umane, o meglio le libertà che consentono la crescita e la disponibilità di maggiori chances di vita e che pertanto è misurabile in modo oggettivo e non soltanto le possibilità. Le libertà che realizzano chances di vita sono la bussola con cui orientarsi per la valutazione del panorama sociale in un mondo che sempre più manca di stabilità e di regole, di nuove diseguaglianze e di conflitti, di istituzioni politiche minacciate e di rischi di ricadute autoritarie. La libertà come misura del successo dello sviluppo, poiché lo sviluppo non può che essere “un processo di espansione delle libertà reali di cui godono gli esseri umani”. È dall’incremento di libertà che può essere misurato il successo dello sviluppo. In questi termini la libertà ha una funzione costitutiva dello sviluppo. Al contempo, in modo più direttamente riconosciuto, la libertà ha un ruolo strumentale per l’incremento dello sviluppo e della crescita in quanto questi sono possibili soltanto i un contesto di libertà, di ben precise libertà che consentono agli individui di sviluppare le capacità e le proprie eccellenze attraverso la propria iniziativa. Secondo Sen la pima ragione per cui la libertà può essere considerata fondamentale nel processo di sviluppo di un contesto sociale è quella secondo cui “quando si giudica se c’è o non c’è progresso, ci si deve chiedere prima di tutto se vengono promosse le libertà di cui godono gli esseri umani.” Questa è una ragiona valutativa, un giudizio quindi e una valutazione dello sviluppo. Ma non si tratta semplicemente di un giudizio morale in quanto la libertà permette la libertà di azione che è generatrice di altre libertà ed è, per questo motivo, parte costitutiva dello sviluppo. Infatti, dice ancora Sen “la conquista dello sviluppo dipende, in tutto e per tutto, dalla libera azione degli esseri umani.” Questa rappresenta la seconda ragione fondamentale per cui la libertà va considerata fondamentale nel processo di sviluppo della società; si tratta di una ragione che riguarda l’efficacia della libertà per la costituzione dello sviluppo e del progresso sociale. Dice Sen che concepire lo sviluppo come espansione delle libertà sostanziali porta a focalizzare l’attenzione su quei fini che rendono importante lo sviluppo stesso. Innanzitutto “lo sviluppo richiede che siano eliminate le principali fonti delle illibertà: la miseria come la tirannia, l’angustia della prospettive economiche come la deprivazione sociale sistematica, la disattenzione verso i servizi pubblici come l’intolleranza o l’autoritarismo di uno stato repressivo”. Spesso la mancanza delle libertà sostanziali è legata direttamente alla povertà materiale “che sottrae a molti la libertà di placare la fame, nutrirsi a sufficienza, procurarsi medicine per malattie curabili, vestirsi decentemente, abitare in un alloggio decoroso, avere a disposizione acqua pulita o godere di assistenza sanitaria. In altri casi l’illibertà è strettamente connessa alla mancanza di servizi pubblici e interventi sociali, per esempio l’assenza di programmi epidemiologici, o di una vera e propria organizzazione sanitaria o scolastica, o istituzioni capaci di mantenere la pace e l’ordine a livello locale”. Amartya Sen considera queste condizioni per la realizzazione delle libertà sostanziali, attraverso i fattori effettivi per la promozione dell’individuo e della libertà, fattori come le opportunità economiche, le libertà politiche, i poteri sociali e quelle che sono le condizioni abilitanti come la salute, l’istruzione e un contesto culturale che incoraggi e coltivi l’iniziativa. In questo quadro, rispetto ai problemi dell’equità e della giustizia sociale, Sen, come Raymond Aron, considera che l’impegno sociale debba essere rivolto alla rimozione delle “illibertà” perché è lo sviluppo che consente la rimozione di tali illibertà, quello sviluppo che si fa carico promuovere la libertà di cui godono gli esseri umani, libertà che è il fondamento dello stesso sviluppo. Come Aron, Sen non parla di uguaglianza in quanto la “giustizia sociale” è realizzata dalla rimozione delle illibertà e da quello sviluppo la cui conquista dipende “in tutto e per tutto” dalla libera azione degli esseri umani. L’eguaglianza è invece quell’argomento politico ideologico che rimuove le illibertà in quanto, sul lungo termine, il suo programma è destinato a costituire il più temibile argomento per l’ingiustizia limite alla libertà che è fondamento del progresso e dello sviluppo della società libera. L’uguaglianza rimane arginata al campo dei principi morali e dei diritti fondamentali degli individui astratti da ogni differenziazione sociale; uguaglianza come uguale rispetto per i progetti e le aspirazioni. Ai margini di questo uguale rispetto e in funzione di questo comincia l’ambito delle libertà e, quindi, della rimozione delle illibertà che limitano la realizzazione della piena dignità. Nella concezione liberale di Sen, come già in Aron, “il progresso industriale o tecnologico e la modernizzazione sociale possono dare un grande contributo all’espansione della libertà umana”, anche se questa dipende anche da tanti altri fattori. Innanzitutto, lo sviluppo richiede l’eliminazione delle principali fonti di illibertà per consentire l’azione libera che è parte costitutiva dello sviluppo stesso e che contribuisce a promuovere e rafforzare altri generi di azione libera. Quindi esiste una forte connessione tra libertà individuale e conquista dello sviluppo sociale e tra queste e la conflittualità tipica della vita delle società liberal democratiche fondate su quello stato di diritto che realizza l’eguaglianza morale senza commistione, come suggerisce Aron, con quelle libertà e le differenze che consentono lo sviluppo e il progresso umano.

venerdì 17 settembre 2021

Raymond Aron VS Max Horkheimer

 Questo argomento è inopportuno, perché non risultano relazioni tra il rappresentante del pensiero critico della Scuola di Francoforte, il pensiero che tanta importanza ha avuto per le generazioni che negli hanno Sessanta hanno lanciato l’utopia dell’Immaginazione al potere, e Raymond Aron sociologo e teorico del progresso e della società liberale. Questo paragrafo dovrebbe più propriamente intitolarsi Aron versus Sartre, perché e con Sartre che Aron parte dall’esistenzialismo fino a tracciare due vie e due giudizi contrapposti sulla modernità. Ma l’accostamento con Horkheimer non è una provocazione, piuttosto si tratta di una indicazione su uno dei tanti punti di fuga che, dal mondo di Aron, potrebbe rendere possibile aprire vie verso altri mondi le cui prospettive oggi si mostrano sempre più prossime.

Ma noi vogliamo egualmente costruire un parallelo tra due personalità e due forme di pensiero divergenti, ma divergenti da un punto comune, da un giudizio su di un patrimonio di valori e di pensiero che rappresentano tutto quanto la modernità ha posto nell’orizzonte della modernità, quel patrimonio di umanità che rappresentato dall’Illuminismo, dalla conoscenza che vince contro l’oscurità delle tenebre della superstizione e del pensiero prescientifico.

Quindi Aron versus Horkheimer perché è proprio sull’Illuminismo e su ciò che essa ha rappresentato in termini di valori che, ancora oggi, è possibile creare un discernimento, una mappa del pensiero politico che vada oltre la tradizionale rappresentazione bidimensionale della politica prospettata nella coppia destra – sinistra. Non a caso Macron considera i valori dell’Illuminismo come il manifesto del nuovo pensiero liberale, ed è dall’Illuminismo che bisogna partire per provare a creare una mappatura multidimensionale della politica in cui i punti di riferimento non siano soltanto destra e sinistra ma anche conservazione – progresso, reazione – rivoluzione e la dimensione oggi forse più significativa tra riformismo e populismo. Queste coppie, queste polarità rappresentano i cardini e i valori cartesiani per una definizione multipolare del giudizio politico. Per questo Horkheimer diventa oggetto di una polarità con ad Aron.

L’Illuminismo diventa il punto di origine per due concezioni contrapposte della modernità che ancora oggi intersecano la politica in modo da mettere in risalto una multipolarità rispetto ai temi della conservazione o della reazione e del progresso da cui emerge un quadro molto più complesso da quello considerato dalla storiografia che riduce il rapporto ad una tensione tra destra e sinistra.

I valori dell’Illuminismo hanno rappresentato l’ideologia di un’epoca nuova per la quale la tradizione era un ostacolo, Il nuovo mondo borghese era avversato dai contadini tradizionalisti come pure, in genere, dalle donne, che non vedevano con buon occhio l’avvento di un mondo in cui predominava l’elemento della laicità e dell’uomo attraverso il lavoro. Al contrario accadeva per gli operai e gli artigiani specializzati che vedevano la tradizione come luogo di miseria e di frammentazione e che vedevano il loro posto nel futuro e non in un qualche mondo idealizzato del passato.

“Nondimeno - dice E. J. Hobsbawn -, le classi lavoratrici erano interessate alla nuova ideologia non in quanto tale, ma come parte di un pacchetto comprendente la lotta per una vita migliore”.

Ed è già proprio Hobsbawn ad individuare gli elementi costitutivi della “società di base”. Infatti, prosegue Hobsbawn, “dal punto di vista ideologico, quindi, le idee razionalistiche borghesi e quelle socialiste convergevano... Le due correnti erano collegate non solo da un’ideologia comune, ma dalla fede che questa sottendeva – la fede nel progresso, nell’istruzione, nella scienza e nella necessità di superare una tradizione che era di ostacolo alla liberazione personale non meno che a quella collettiva.”

Quella di Eric Hobsbawn è una concezione dell’Illuminismo che è comune ai progressisti, e quindi anche ad Aron. Horkheimer non ha una idea critica del progresso che assimila tout court con il capitalismo. Dell’Illuminismo apprezza l’ideale di liberazione attraverso la sapienza, per il resto lo assimila al razionalismo tecnico che ha asservito l’umanità al “numero”.

“L’illuminismo è totalitario” dice Horkheimer insieme a Tehodor W. Adorno. Con l’illuminismo l’intelletto che vince la superstizione comanda sulla natura disincantata. “Il sapere, che è potere, non conosce limiti, né nell’asservimento delle creature, né nella sua docile acquiescenza ai signori del mondo. Esso è a disposizione, come di tutti gli scopi dell’economia borghese, nella fabbrica e sul campo di battaglia, così di tutti gli operatori senza riguardo alla loro origine. … La tecnica è l’essenza di questo sapere. … Ciò che non si spiega al criterio del calcolo e dell’utilità, è, agli occhi dell’illuminismo, sospetto. … il numero divenne il canone dell’illuminismo. Le stesse equazioni dominano la giustizia borghese e lo scambio di merci. … La società borghese è dominata dall’equivalente. Essa rende comparabile l’eterogeneo riducendolo a grandezze astratte. Tutto ciò che non si risolve in numeri, e in definitiva nell’uno, diventa, per l’illuminismo, apparenza; il positivismo moderno lo confina nella letteratura. … La molteplicità delle figure è ridotta alla posizione e all’ordinamento, la storia al fatto, le cose alla materia.”[1]

Sul riduzionismo e il potere della conoscenza scientifica nasce la contrapposizione tra scienze della natura e scienze dello spirito, tra razionalismo e intuizionismo, tra mente e corpo. Una contrapposizione che considera in modo separato delle entità che separate non sono, se non nella nostra razionale esigenza di mettere ordine nella natura che dimentica che la scienza non è un oggetto particolare, ma un metodo per accedere alla conoscenza della natura, come alla previsione e alla relazione con gli eventi. Esiste per questo una possibilità di conciliazione tra questi due ambiti, una possibilità che non cambia il posto della scienza, ma cambia il posto alle cosiddette scienze dello spirito, ponendole in una prospettiva che non è contrapposta alle istanze della scienza e al contempo non rappresenta una riduzione a quella perniciosa uguaglianza, all’unità, di cui parlava Horkheimer.

Esiste una diversa via, una via prometeica più positiva rispetto al destino e alla natura umana; una via che conduce al progresso e allo sviluppo della tecnica, una via non riduzionista e non “totalitaria”, è la via che Erasmo indica al suo Principe. Si tratta di una via che arriva fino a Kant e poi prosegue fino al cognitivismo e al costruttivismo, una via che considera l’umanità e l’essere umano come fine e non come mezzo.

Dice Aron «I tre valori che mi sono sembrati immanenti alla civiltà moderna, uguaglianza, personalità, universalità, ciascuno dei quali provoca interpretazioni divergenti, si nutrono, forse tutti e tre, alla fonte della modernità, dell’ambizione prometeica: l’ambizione, per riprendere la formula cartesiana, di diventare padroni e possessori della natura grazie alla scienza e alla tecnica.»[2]

Nelle parole di Aron troviamo lo spirito autentico degli illuministi: l’uomo, l’umanità che si emancipa grazie al sapere e alla conoscenza. Questo l’impulso che sta dietro la modernità, al progresso: un impulso vero l’emancipazione e l’uguaglianza. Queste sono le leggi scritte nelle opere nate in seguito alle tre rivoluzioni: quella scientifica, quella dei diritti, quella economica. Oggi, in coerenza con la tradizione di un liberalismo ispirato ai valori su cui è nata la società moderna, democratica, libera, egualitaria e fondata sul diritto, Macron ha posto l’Europa dell’Illuminismo al centro del suo disegno per far uscire la Francia dalla crisi economica e dalla crisi di identità in cui è avvolta. Macron è un liberale. Un liberale che, contro gli “utopisti del passato”, crede fortemente nella autodeterminazione dell’individuo: “il progetto che la Francia reca in sé (…) è un progetto vecchio di secoli, (…) Dal Rinascimento al secolo dei Lumi, dalla Rivoluzione americana alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e all’antitotalitarismo, la Francia ha contribuito a illuminare il mondo per liberarlo dal giogo dell’ignoranza, dalle religioni oscurantiste, della violenza negatrice dell’individuo”.

Aron ha fiducia nel progresso anche se ne vede le contraddizioni e ne segue le ingiustizie che spesso lascia dietro di sé schiere di sconfitti. Ma Aron è convinto che le ingiustizie siano destinate ogni volta a ricomporsi nelle nuove uguaglianze. In questo perenne ciclo di ricomposizione il progresso segue la strada tracciata dagli illuministi verso l’affermazione della libertà, del diritto e della conoscenza. Un messaggio positivo che colloca la libertà in cima alla responsabilità e non alla rinuncia a cui porta la teoria critica di Horkheimer. Una visione del mondo e una filosofia della storia con presupposti di tipo esistenziale che attraverso la denominazione di “Teoria Critica” che vuole essere una sociologia che risponde al richiamo marxiano di “trasformare il mondo” e non semplicemente “interpretarlo”. In questo diventa l’humus di una nuova ideologia di contestazione e opposizione alla società industriale tout court e una critica alla storia stessa che ha portato all’affermazione della civiltà moderna. Come per Sartre, Aron avrebbe considerato la “Teoria Critica” una commistione di principi morali di tipo filosofico con pretese meta scientifiche se non addirittura metafisiche, anche se spesso i giudizi espressi sono sorprendenti rispetto alla capacità di rendere comprensibile molti fenomeni socioculturali della società di massa.

Il razionalismo rappresenta quel fuoco messo in mano a Prometeo con cui l’uomo, nella sua aspirazione, diventa in grado di svelare ogni segreto della natura e di utilizzarlo per il miglioramento della condizione umana. Ma è proprio questa idea di ragione fondata sul razionalismo a diventare oggi l’anello più debole della missione umana nell’era moderna, un limite controverso e a volte paradossale nei suoi effetti per il destino umano.

Il razionalismo illuminista rappresenta inoltre il punto controverso della ragione umana nella filosofia esistenzialista e un limite per la conoscenza che conduce a paradossi insuperabili per la filosofia analitica. La critica che al razionalismo ha mosso la teoria costruttivista, si può sintetizzare in gran parte proprio per suoi effetti paradossali a cominciare dalla concezione di oggettività radicata in una visione dicotomica tra conoscenza formale e mondo reale, tra res cogitans e res extensa. Si tratta di una dicotomia che si riscontra in tutti i sistemi e le ideologie nell’età moderna.

Anche l’individualismo può essere considerato espressione del razionalismo illuminista che ha condotto al teorema del decisore razionale attraverso quelle scienze sociali che di più si ispirano al formalismo logico matematico. L’individuo e l’individualità della teoria classica in economia eredita indubbiamente la dicotomia razionalista tra res cogitans e res extensa, una dicotomia che mostra i limiti delle concezioni dell’agire umano e della teoria sociale. Ricordiamo il paradosso oggi sperimentato dalla psicologia morale per cui un decisore perfettamente razionale non è in grado di prendere alcuna decisione senza ricorso all’intuizione.[3]

Pertanto, è proprio sul concetto di razionalità, fonte dei diritti naturali, che bisogna spostare, in modo preliminare, l’attenzione. Paradossalmente, il razionalismo considerato in modo assoluto, addirittura idealizzato, può conciliarsi, anche in rapporto ai diritti naturali e al valore assoluto della persona, con una forma di metafisica che considera l’oggettività come qualcosa di dato una volta per tutte. La conoscenza diventa soltanto uno svelamento o meglio, in modo razionale, la conoscenza non sarebbe che una approssimazione sempre maggiore verso un mondo oggettivo dato e costituito. Un mondo in cui, l’attività svolta dal soggetto conoscente, risulterebbe in ogni caso priva di responsabilità verso il proprio oggetto, come se fosse possibile guardare l’universo senza farsi coinvolgere, da lontano o di nascosto “sbirciando attraverso il buco della serratura”. Watzlawick definisce questo atteggiamento verso la conoscenza come "realismo metafisico". Un limite, quello razionalista giusnaturalista, che condiziona l’esperimento mentale per giungere ad una decisione su quale patto sociale stringere, costruito sul concetto di “posizione originaria” di John Rawls come osserva Drew Westen proprio rispetto al fatto che la razionalità implicita nella scelta razionale, si o meno sotto un velo di ignoranza, deresponsabilizza il soggetto e non è in grado di valutare l’incidenza, nella scelta, di ciò che viene considerato, per definizione, irrazionalità, cioè l’intuizione che nasce dalla partecipazione emotiva alla scelta, una partecipazione che invece affonda le radici nei più profondi meccanismi evolutivi della mente e della coscienza.[4]

L'osservatore è parte dell'universo che osserva e cambia insieme ad esso e in tal modo si realizza come responsabile della conoscenza e dell’uso che ne fa (Bateson: "la struttura che connette tutte le strutture viventi"), il che rende impossibile un punto di osservazione esterno al sistema osservato. Anche l'oggettività intesa dal punto di vista della cibernetica di primo ordine è falsata dall'illusione di considerarsi esterni al sistema osservato. In tal senso, von Foerster afferma che "l'oggettività è l'illusione che si possano fare osservazioni senza un osservatore". Chi adotta questa dottrina dell'oggettività si sente esentato dal dover assumersi le proprie responsabilità rispetto alle proprie osservazioni, in quanto ritiene che sia la realtà ad esprimere sé stessa attraverso la conoscenza umana. Von Foerster aggiunge quindi a complemento dell'oggettività anche l'etica che deriva dal fatto di doversi assumere la responsabilità per le proprie osservazioni, per la realtà che si contribuisce a costruire, da qui anche l'imperativo etico di operare per contribuire ad accrescere le possibilità di scelta, quindi di apertura, piuttosto che chiuderle con verità "oggettive", in un sistema in cui l'oggettività assume una dimensione metafisica bisogna, al contrario, agire sempre “in modo da accrescere il numero delle possibilità di scelta".

Il concetto di realtà su esposto si sviluppa in biologia nel tentativo di un superamento della dicotomia tra scienze umane e scienze empiriche. Mentre avvicina la riflessione epistemologica alla teoria fenomenologica che vuole che la realtà non sia da considerare un dominio indipendente dall'osservatore, per cui l'oggettività deve essere messa tra parentesi con la sospensione del giudizio su di essa. È questa la premessa fondamentale del costruttivismo.

Il filosofo irlandese Giovanni Scoto Eriugena formula quello che concettualmente può essere considerato il manifesto del costruttivismo radicale: “l’intelletto genera da sé stesso e dentro sé stesso la sua ragione, nella quale conosce in anticipo e precrea causativamente tutte le cose che desidera fare.” (Periphyseon)[5] In questo concetto troviamo anche la formulazione del limite del concetto di razionalità bassato sulla dicotomia tra corpo e mente, conoscenza e materia.

Aron non ha mai avuto rapporti col costruttivismo. Ma nei termini fenomenologici con cui pone l’oggettività storica sicuramente lo avvicinano ad una concezione che, partendo dalle istanze esistenzialiste, portano ad una idea diversa di razionalità e di responsabilità, una idea che lo porta a rivalutare i frutti del dono fatto a Prometeo piuttosto che a vederne soltanto gli effetti nefasti sull’individuo umano. Un atteggiamento positivo che è frutto proprio del fatto che Aron crede nel valore morale dell’assunzione di responsabilità rispetto alle decisioni da parte dell’uomo Prometeo, una assunzione di responsabilità verso i propri simili, verso il mondo e la natura. Inoltre Aron limita il sapere scientifico e la razionalità alla sua funzione strumentale, distaccata dalla valutazione morale la quale costituisce una istanza superiore alla stessa conoscenza razionale in virtù proprio della responsabilità e della libertà del soggetto conoscente da cui non è possibile, in ogni caso, esimersi se non col pregiudizio ideologico.

Pertanto, per Aron, al contrario di Horkheimer, la ragione nella sua espressione della razionalità scientifica e dello sviluppo della tecnica non è responsabile dell’alienazione e della omologazione dell’individuo e della sua libertà. Al contrario è proprio nei principi e nei valori della modernità che trova corpo il processo di liberazione e di affermazione dell’individuo: «I tre valori che mi sono sembrati immanenti alla civiltà moderna, uguaglianza, personalità, universalità, ciascuno dei quali provoca interpretazioni divergenti, si nutrono, forse tutti e tre, alla fonte della modernità, dell’ambizione prometeica: l’ambizione, per riprendere la formula cartesiana, di diventare padroni e possessori della natura grazie alla scienza e alla tecnica.»[6] L’ambizione prometeica di diventare padroni della natura è l’impulso che porta l’umanità al miglioramento della propria condizione attraverso l’affermazione della libertà e dell’individualità che si esprime attraverso lo sviluppo della conoscenza e della morale. Questa è la società aperta per Raymond Aron, il mondo di Aron.

Horkheimer parte dalle medesime prerogative e, come Aron, considera l’Illuminismo come momento culminante di affermazione dei valori degli individui umani. Tuttavia, Horkheimer colloca in una utopia astorica la possibilità della loro piena realizzazione mentre condanna la realtà della storia umana. Aron è più ottimista e vede proprio nella vicenda umana e nella sua storia la realizzazione e l’affermazione di questi valori in un modo sempre provvisorio e sempre limitato e destinato, nella sua grandiosità e bellezza, ad essere sempre incompiuto, proprio perché è così che l’umanità si può esprimere senza tradire i principi della libertà. Aron, come dice Dahrendorf appartiene a quella schiera di intellettuali che hanno fatto proprie le virtù della libertà e così hanno resistito, anche con l’isolamento, alle lusinghe del totalitarismo e delle sue ideologie Questi intellettuali, dice sempre Dahrendorf “Sono semplicemente uomini e donne che condividono con Erasmo le virtù della libertà. Sono intellettuali pubblici che, nel tempo in cui è toccato loro di vivere, hanno resistito alle tentazioni del totalitarismo. E sono quindi rappresentanti di quello che si può chiamare lo spirito liberale, intendendo con questa espressione un atteggiamento intellettuale di fondo che può essere caratterizzato dalle virtù cardinali [della libertà] … Ma soprattutto, essi rappresentano un concetto di libertà, che è insieme rigorosamente definito e intenso. Come diceva Isaiah Berlin gli uomini vogliono fare la propria vita. «Questa la libertà quale è stata intesa dai liberali nel mondo moderno dai tempi di Erasmo ai nostri giorni.”[7] Libertà e individualità, così come miglioramento della condizione umana sotto tutti gli aspetti materiali e morali ed etiche, si congiungono nel dare un senso e un valore al concetto di umanità. Mentre, per contro, l’aspirazione utopistica e astorica di una libertà assoluta congiunta spesso nelle vicende politiche con “La combinazione di un legame indefettibile, di un capo assoluto o di una speranza di paradiso, e di una trasfigurazione quasi religiosa è una ricetta infallibile per sostituire le società aperte con gli Stati totalitari. Gli intellettuali che si lasciarono traviare da quelle visioni hanno riconosciuto in seguito che il cedimento alla tentazione aveva loro imposto il sacrificium intellectus, cioè la rinuncia proprio a quello che è l’elemento costitutivo dell’attività intellettuale, la libertà.”[8]

 



[1] Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino 1976, pp. 12-15.

[2] Raymond Aron, op. cit., 1991, p. 260.

[3] Vedi Jonathan Haidt, Menti tribali. Perché le brave persone si dividono su politica e religione, 2012, Le Scienze, e-book.

[4] Drew Westen, La mente politica, Il saggiatore. Gli studi di psicologia morale mettono a nudo le difficoltà di costruzione di un agire sociale fondato sul presupposto del calcolo razionale. Una difficoltà che porta la ricerca a provare ad andare oltre la visione dicotomica della realtà suddivisa tra razionale e reale, mente e corpo. Vedi Jonathan Haidt.

[5] Cit. in Gabriele Chiari, Il costruttivismo in psicologia e in psicoterapia, Raffaello Cortina Editore, Milano 2016, p. 79.

[6] Raymond Aron, op. cit., 1991; p. 260.

[7] Ralf Dahrendorf, op. cit., 2007, pp. 83-84.

[8] Ralf Dahrendorf, op. cit., 2007, p. 43.

domenica 11 luglio 2021

Raymond Aron: quale liberalismo? Dall’esistenzialismo al liberalismo

Il liberalismo come orientamento etico politico nel panorama delle molteplici declinazioni che storicamente ha assunto, oppure come astrazione delle caratteristiche riconoscibili nei vari pensatori, nelle idee politiche e nei movimenti, caratteristiche che sono riconducibili sempre al rigoroso rispetto dei diritti e delle sfere individuali da parte dei pubblici poteri e della libertà di esprimere le proprie opinioni e di organizzarsi in associazioni per farle diventare realtà. In tal senso il liberalismo, al di là delle varie espressioni storiche, si potrebbe dire che sia un “tipo ideale” secondo il significato che a questo concetto ha attribuito Max Weber: “l’accentuazione di uno o alcuni punti di vista, e mediante la connessione di una quantità di fenomeni particolari diffusi e discreti, esistenti qui in maggiore là in minore misura, e talvolta anche assenti, corrispondenti a quei punti di vista unilateralmente posti in luce, in un quadro concettuale in sé unitario”[1]. I fenomeni e i punti di vista che individuano questo “tipo ideale” sono quelli indicati riguardanti le libertà individuali e il rispetto dei diritti, rispetto a questi punti di vista una politica, un pensatore può essere definita più o meno liberale, considerando che la democrazia come metodo non è per forza di cose una democrazia liberale, quindi per parlare di liberal democrazia bisogna che gli aspetti riconoscibili del liberalismo siano affermati.

Nella connessione tra liberalismo e giusnaturalismo il richiamo di Norberto Bobbio ai principi filosofici che possono ispirare il pensiero liberale, consente, attraverso un approfondimento dell’idea di razionalità, di valutare una prospettiva più aperta rispetto a quella dei cosiddetti diritti naturali precedenti alla nascita dello Stato considerato frutto di accordo tra gli uomini. Per Bobbio, infatti, bisogna porre l’accento sul fatto che il liberalismo è espressione dell’individualismo razionalistico, quindi inconcepibile al di fuori della società moderna e del pensiero scientifico da cui questa è scaturita; un individualismo razionalistico “proprio della filosofia illuministica, per il quale l’uomo in quanto essere razionale è persona e ha un valore assoluto, prima e indipendentemente dai rapporti di interazione coi suoi simili. Come persona, il singolo è superiore a qualsiasi società di cui entra a far parte, e lo Stato, a sua volta, è soltanto un prodotto dell’uomo (in quanto sorge da un accordo o da un contratto fra gli uomini stessi), e non è mai una persona reale, bensì solo una somma di individui aventi ciascuno la propria sfera di libertà.” Il razionalismo in senso classico può trasformarsi, rispetto ai diritti naturali e al valore assoluto della persona, in una forma subdola di metafisica che considera l’oggettività come qualcosa di dato una volta per tutte in modo indipendente dall’osservatore. La conoscenza non sarebbe che una approssimazione sempre maggiore verso questo mondo oggettivo, fisico in cui l’attività svolta dal soggetto conoscente e dalla sua ricerca risulta priva di ogni responsabilità e valore in senso umano ed etico, come se fosse possibile guardare l’universo “sbirciando attraverso il buco della serratura”, come è stato detto, oppure, come si potrebbe dire oggi, affidandosi alla fantascienza, restando seduti comodamente alla propria poltrona guardano il mondo dalla finestra simulata di un calcolatore come potrebbe fare un osservatore di un mondo alieno. Watzlawick definisce questo atteggiamento verso la conoscenza come "realismo metafisico". Un limite, quello razionalista giusnaturalista, che pesa anche nella idea i “posizione originaria” di John Rawls.

Tuttavia, l'osservatore è parte dell'universo che osserva e cambia insieme ad esso (Bateson: "la struttura che connette tutte le strutture viventi"), il che rende impossibile un tale punto di osservazione. L'oggettività intesa dal punto di vista della cibernetica di primo ordine è falsata dall'illusione di considerarsi esterni al sistema osservato. In tal senso, von Foerster afferma che "l'oggettività è l'illusione che si possano fare osservazioni senza un osservatore". Chi adotta questa dottrina dell'oggettività si sente esentato dal dover assumersi le proprie responsabilità rispetto alle proprie osservazioni, in quanto ritiene che sia la realtà ad esprimere sé stessa. Von Foerster aggiunge quindi a complemento dell'oggettività anche l'etica che deriva dal fatto di doversi assumere la responsabilità per le proprie osservazioni, per la realtà che si contribuisce a costruire, da qui anche l'imperativo etico di operare per contribuire ad accrescere le possibilità di scelta, quindi di apertura, piuttosto che chiuderle con verità "oggettive", in un sistema in cui l'oggettività assume una dimensione metafisica: "agisci sempre in modo da accrescere il numero delle possibilità di scelta"

Il concetto di realtà su esposto si sviluppa in biologia nel tentativo di un superamento della dicotomia tra scienze umane e scienze empiriche. Mentre avvicina la riflessione epistemologica alla teoria fenomenologica che vuole che la realtà non sia da considerare un dominio indipendente dall'osservatore, per cui l'oggettività deve essere messa tra parentesi con la sospensione del giudizio su di essa.

Nella ricerca delle origini filosofiche del costruttivismo, il filosofo irlandese Giovanni Scoto Eriugena formula una analogia che secondo von Glasersfeld può essere considerata il manifesto del costruttivismo radicale contemporaneo: “Proprio come l’artista esperto estrae la sua arte da sé stesso e dentro sé stesso e in essa prevede le cose che deve fare, […] così l’intelletto genera da sé stesso e dentro sé stesso la sua ragione, nella quale conosce in anticipo e precrea causativamente tutte le cose che desidera fare.”[2] (Periphyseon)

Tra i precursori del costruttivismo c’è certamente Kant che riteneva che la realtà così com’è (noumeno – cosa in sé) non sia conoscibile. Mentre ciò che conosciamo, il fenomeno, ci appare attraverso le forme a priori della conoscenza. Quindi l’ordine oggettivo della natura non è che il prodotto dell’interazione della mente con ciò che si trova fuori di essa; pertanto, oggettivo vuol dire “intersoggettivamente valido”.

Aron sicuramente non può essere definito costruttivista. Ma nei termini in cui si pone l’oggettività nella teoria costruttivista sicuramente non è estranea all’esperienza di Aron che perviene ad una definizione della realtà sociale e storica attraverso una lunga riflessione giovanile sull’esistenzialismo bergsoniano e la fenomenologia filtrati successivamente dall’interesse verso le teorie di Max Weber.



[1] Max Weber, Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, Torino 1959, p.108 (in Bedeschi).

[2]   Cit. in Gabriele Chiari, Il costruttivismo in psicologia e in psicoterapia, Raffaello Cortina Editore, Milano 2016, p. 79.


sabato 19 giugno 2021

Qual è il senso dell'elitismo di Raymond Aron?

Giuseppe Bedeschi1 ascrive la figura di Aron tra i teorici della teoria sociale elitista. Citando Aron, Bedeschi osserva: “Tutte le società ... per lo meno tutte le società complesse, sono governate da un piccolo numero di uomini, i regimi variano secondo il carattere della minoranza che esercita l’autorità. Di più: all’interno stesso dei partiti politici è sempre una minoranza quella che governa. A questa sorte non sfuggono nemmeno le società democratico-liberali. 

A nostro avviso rispetto a questa collocazione bisogna valutare il valore che nel pensiero di Aron è attribuito dal diverso giudizio sul positivismo e alla critica radicale, anti ideologica e anti scientista, o meglio, anti metafisica, che Aron apponeva rispetto ad ogni forma di valutazione, per così dire, scientifica, della realtà e dell’oggettività storica. Una critica che, come vedremo porta il suo pensiero ad avere maggiori affinità metodologiche con pragmatismo o addirittura con alcuni aspetti del costruttivismo politico. Ma se per elitismo intendiamo pure una visione della dinamica sociale tendente verso una continua creazione di ineguaglianze e differenziazioni di ruolo sociale, allora senz’altro, Aron può essere considerato un elitista. Ma il suo elitismo non è altro che un aspetto che scaturisce della sua idea di un meccanismo dialettico, e conflittuale, si potrebbe dire, che governa lo sviluppo sociale che non può evitare la delega e il rispetto del principio del merito nella differenziazione di ruoli e specializzazioni in ogni settore della società, come della cultura; e dall’altro non può fare a meno di delegare rispetto al problema del governo della società e della gestione del potere attraverso una democrazia che piuttosto che parificare e rendere omogenee le differenze deve, nella strada dei conflitti che portano al progresso, tendere a valorizzarle, garantendo a tutti le medesime opportunità e, “rimuovendo gli ostacoli” che a queste opportunità si frappongono. 

In tali termini la società di eguali è destinata a rimenare nel campo dell’utopia, di quella utopia che può essere valore nella sua natura di impulso al cambiamento; ma che diventa elemento di conflitto e, spesso, ostacolo al progresso quanto si trasforma in bandiere ideologica. 

Quindi la radice dell’elitismo aroniano la troviamo in una idea meritocratica che alimenta la dinamica sociale piuttosto che in un’idea di conflitto e di dominio tra ceti sociali. Un’idea che porta a ridurre il programma egualitario, fino a relegarlo al campo dell’utopia, da un lato, per poi valorizzarlo all’interno di quella stessa dinamica conflittuale del progresso che porta le società sempre più sulla strada di una maggiore specializzazione e differenziazione di ruoli e di funzioni all’interno di un quadro governato attraverso istituzioni e metodo democratico nelle società liberali, un metodo che valorizza le differenze piuttosto che parificarle. In questo quadro la libertà è il fine e non la democrazia che, di per sé considerata come legge della maggioranza, può sfociare anche nella tirannide come nel timore di Tocqueville. 

In particolare, l’elitismo si definisce in rapporto al problema del governo della società: "«La sovranità popolare – sottolinea Aron – non significa che la massa dei cittadini prenda essa stessa, direttamente, le decisioni relative alle finanze pubbliche o alla politica estera. È assurdo paragonare i regimi democratici moderni all’idea irrealizzabile di un regime in cui il popolo si governi da sé». Ma se le cose stanno così, cioè se qualunque regime politico è inevitabilmente oligarchico, è inutile fare del moralismo a questo proposito, scandalizzarsi, perseguire modelli utopistici (tipo “democrazia diretta” di roussoiana-marxiana memoria), ecc.” Il punto essenziale è piuttosto quello di sapere come l’oligarchia è costituita, quali sono le regole in base alle quali essa esercita il proprio potere, in che misura è possibile entrarvi e farne parte, qual è per la collettività il prezzo e il profitto di questo dominio e come questo si combina con quel conflitto sociale di natura democratica che porta al progresso e alla realizzazione delle libertà, che in Aron sono sinonimo anche di opportunità o, come nei principi, su cui è stata dichiarata l’indipendenza degli Stati Uniti d’America, di ricerca della felicità. 



[1] Giuseppe Bedeschi, Storia del pensiero liberale, 2015 Rubettino, e-book.

Perché non possiamo non dirci liberali. Il liberalismo critico di Raymond Aron.

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