Costruttivismo Politico Radicale
Politica e passioni - da Erasmo Da Rotterdam a John Rawls
mercoledì 11 gennaio 2023
venerdì 25 marzo 2022
Raymond Aron & Amartya Sen: “natura rivoluzionaria dell’idea di sviluppo come libertà”
venerdì 17 settembre 2021
Raymond Aron VS Max Horkheimer
Questo argomento è inopportuno, perché non risultano relazioni tra il rappresentante del pensiero critico della Scuola di Francoforte, il pensiero che tanta importanza ha avuto per le generazioni che negli hanno Sessanta hanno lanciato l’utopia dell’Immaginazione al potere, e Raymond Aron sociologo e teorico del progresso e della società liberale. Questo paragrafo dovrebbe più propriamente intitolarsi Aron versus Sartre, perché e con Sartre che Aron parte dall’esistenzialismo fino a tracciare due vie e due giudizi contrapposti sulla modernità. Ma l’accostamento con Horkheimer non è una provocazione, piuttosto si tratta di una indicazione su uno dei tanti punti di fuga che, dal mondo di Aron, potrebbe rendere possibile aprire vie verso altri mondi le cui prospettive oggi si mostrano sempre più prossime.
Ma
noi vogliamo egualmente costruire un parallelo tra due personalità e due forme
di pensiero divergenti, ma divergenti da un punto comune, da un giudizio su di
un patrimonio di valori e di pensiero che rappresentano tutto quanto la
modernità ha posto nell’orizzonte della modernità, quel patrimonio di umanità
che rappresentato dall’Illuminismo, dalla conoscenza che vince contro
l’oscurità delle tenebre della superstizione e del pensiero prescientifico.
Quindi
Aron versus Horkheimer perché è proprio sull’Illuminismo e su ciò che essa ha
rappresentato in termini di valori che, ancora oggi, è possibile creare un
discernimento, una mappa del pensiero politico che vada oltre la tradizionale
rappresentazione bidimensionale della politica prospettata nella coppia destra
– sinistra. Non a caso Macron considera i valori dell’Illuminismo come il
manifesto del nuovo pensiero liberale, ed è dall’Illuminismo che bisogna
partire per provare a creare una mappatura multidimensionale della politica in
cui i punti di riferimento non siano soltanto destra e sinistra ma anche
conservazione – progresso, reazione – rivoluzione e la dimensione oggi forse
più significativa tra riformismo e populismo. Queste coppie, queste polarità
rappresentano i cardini e i valori cartesiani per una definizione multipolare
del giudizio politico. Per questo Horkheimer diventa oggetto di una polarità
con ad Aron.
L’Illuminismo
diventa il punto di origine per due concezioni contrapposte della modernità che
ancora oggi intersecano la politica in modo da mettere in risalto una
multipolarità rispetto ai temi della conservazione o della reazione e del
progresso da cui emerge un quadro molto più complesso da quello considerato
dalla storiografia che riduce il rapporto ad una tensione tra destra e
sinistra.
I
valori dell’Illuminismo hanno rappresentato l’ideologia di un’epoca nuova per
la quale la tradizione era un ostacolo, Il nuovo mondo borghese era avversato
dai contadini tradizionalisti come pure, in genere, dalle donne, che non
vedevano con buon occhio l’avvento di un mondo in cui predominava l’elemento
della laicità e dell’uomo attraverso il lavoro. Al contrario accadeva per gli
operai e gli artigiani specializzati che vedevano la tradizione come luogo di
miseria e di frammentazione e che vedevano il loro posto nel futuro e non in un
qualche mondo idealizzato del passato.
“Nondimeno
- dice E. J. Hobsbawn -, le classi lavoratrici erano interessate alla nuova
ideologia non in quanto tale, ma come parte di un pacchetto comprendente la
lotta per una vita migliore”.
Ed è
già proprio Hobsbawn ad individuare gli elementi costitutivi della “società di
base”. Infatti, prosegue Hobsbawn, “dal punto di vista ideologico, quindi, le
idee razionalistiche borghesi e quelle socialiste convergevano... Le due
correnti erano collegate non solo da un’ideologia comune, ma dalla fede che
questa sottendeva – la fede nel progresso, nell’istruzione, nella scienza e
nella necessità di superare una tradizione che era di ostacolo alla liberazione
personale non meno che a quella collettiva.”
Quella
di Eric Hobsbawn è una concezione dell’Illuminismo che è comune ai
progressisti, e quindi anche ad Aron. Horkheimer non ha una idea critica del
progresso che assimila tout court con il capitalismo. Dell’Illuminismo apprezza
l’ideale di liberazione attraverso la sapienza, per il resto lo assimila al
razionalismo tecnico che ha asservito l’umanità al “numero”.
“L’illuminismo
è totalitario” dice Horkheimer insieme a Tehodor W. Adorno. Con l’illuminismo
l’intelletto che vince la superstizione comanda sulla natura disincantata. “Il
sapere, che è potere, non conosce limiti, né nell’asservimento delle creature,
né nella sua docile acquiescenza ai signori del mondo. Esso è a disposizione,
come di tutti gli scopi dell’economia borghese, nella fabbrica e sul campo di
battaglia, così di tutti gli operatori senza riguardo alla loro origine. … La
tecnica è l’essenza di questo sapere. … Ciò che non si spiega al criterio del
calcolo e dell’utilità, è, agli occhi dell’illuminismo, sospetto. … il numero
divenne il canone dell’illuminismo. Le stesse equazioni dominano la giustizia
borghese e lo scambio di merci. … La società borghese è dominata
dall’equivalente. Essa rende comparabile l’eterogeneo riducendolo a grandezze astratte.
Tutto ciò che non si risolve in numeri, e in definitiva nell’uno, diventa, per
l’illuminismo, apparenza; il positivismo moderno lo confina nella letteratura.
… La molteplicità delle figure è ridotta alla posizione e all’ordinamento, la
storia al fatto, le cose alla materia.”[1]
Sul
riduzionismo e il potere della conoscenza scientifica nasce la contrapposizione
tra scienze della natura e scienze dello spirito, tra razionalismo e
intuizionismo, tra mente e corpo. Una contrapposizione che considera in modo
separato delle entità che separate non sono, se non nella nostra razionale
esigenza di mettere ordine nella natura che dimentica che la scienza non è un
oggetto particolare, ma un metodo per accedere alla conoscenza della natura,
come alla previsione e alla relazione con gli eventi. Esiste per questo una
possibilità di conciliazione tra questi due ambiti, una possibilità che non
cambia il posto della scienza, ma cambia il posto alle cosiddette scienze dello
spirito, ponendole in una prospettiva che non è contrapposta alle istanze della
scienza e al contempo non rappresenta una riduzione a quella perniciosa
uguaglianza, all’unità, di cui parlava Horkheimer.
Esiste
una diversa via, una via prometeica più positiva rispetto al destino e alla natura
umana; una via che conduce al progresso e allo sviluppo della tecnica, una via
non riduzionista e non “totalitaria”, è la via che Erasmo indica al suo
Principe. Si tratta di una via che arriva fino a Kant e poi prosegue fino al
cognitivismo e al costruttivismo, una via che considera l’umanità e l’essere
umano come fine e non come mezzo.
Dice
Aron «I tre valori che mi sono sembrati immanenti alla civiltà moderna,
uguaglianza, personalità, universalità, ciascuno dei quali
provoca interpretazioni divergenti, si nutrono, forse tutti e tre, alla fonte
della modernità, dell’ambizione prometeica: l’ambizione, per riprendere
la formula cartesiana, di diventare padroni e possessori della natura
grazie alla scienza e alla tecnica.»[2]
Nelle
parole di Aron troviamo lo spirito autentico degli illuministi: l’uomo,
l’umanità che si emancipa grazie al sapere e alla conoscenza. Questo l’impulso
che sta dietro la modernità, al progresso: un impulso vero l’emancipazione e
l’uguaglianza. Queste sono le leggi scritte nelle opere nate in seguito alle
tre rivoluzioni: quella scientifica, quella dei diritti, quella economica.
Oggi, in coerenza con la tradizione di un liberalismo ispirato ai valori su cui
è nata la società moderna, democratica, libera, egualitaria e fondata sul diritto,
Macron ha posto l’Europa dell’Illuminismo al centro del suo disegno per far
uscire la Francia dalla crisi economica e dalla crisi di identità in cui è
avvolta. Macron è un liberale. Un liberale che, contro gli “utopisti del
passato”, crede fortemente nella autodeterminazione dell’individuo: “il
progetto che la Francia reca in sé (…) è un progetto vecchio di secoli, (…) Dal
Rinascimento al secolo dei Lumi, dalla Rivoluzione americana alla Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo e all’antitotalitarismo, la Francia ha
contribuito a illuminare il mondo per liberarlo dal giogo dell’ignoranza, dalle
religioni oscurantiste, della violenza negatrice dell’individuo”.
Aron
ha fiducia nel progresso anche se ne vede le contraddizioni e ne segue le
ingiustizie che spesso lascia dietro di sé schiere di sconfitti. Ma Aron è
convinto che le ingiustizie siano destinate ogni volta a ricomporsi nelle nuove
uguaglianze. In questo perenne ciclo di ricomposizione il progresso segue la
strada tracciata dagli illuministi verso l’affermazione della libertà, del
diritto e della conoscenza. Un messaggio positivo che colloca la libertà in
cima alla responsabilità e non alla rinuncia a cui porta la teoria critica di
Horkheimer. Una visione del mondo e una filosofia della storia con
presupposti di tipo esistenziale che attraverso la denominazione di “Teoria
Critica” che vuole essere una sociologia che risponde al richiamo marxiano di
“trasformare il mondo” e non semplicemente “interpretarlo”. In questo diventa
l’humus di una nuova ideologia di contestazione e opposizione alla società
industriale tout court e una critica alla storia stessa che ha portato
all’affermazione della civiltà moderna. Come per Sartre, Aron avrebbe
considerato la “Teoria Critica” una commistione di principi morali di tipo
filosofico con pretese meta scientifiche se non addirittura metafisiche, anche
se spesso i giudizi espressi sono sorprendenti rispetto alla capacità di
rendere comprensibile molti fenomeni socioculturali della società di massa.
Il
razionalismo rappresenta quel fuoco messo in mano a Prometeo con cui l’uomo,
nella sua aspirazione, diventa in grado di svelare ogni segreto della natura e
di utilizzarlo per il miglioramento della condizione umana. Ma è proprio questa
idea di ragione fondata sul razionalismo a diventare oggi l’anello più debole
della missione umana nell’era moderna, un limite controverso e a volte
paradossale nei suoi effetti per il destino umano.
Il
razionalismo illuminista rappresenta inoltre il punto controverso della ragione
umana nella filosofia esistenzialista e un limite per la conoscenza che conduce
a paradossi insuperabili per la filosofia analitica. La critica che al
razionalismo ha mosso la teoria costruttivista, si può sintetizzare in gran
parte proprio per suoi effetti paradossali a cominciare dalla concezione di
oggettività radicata in una visione dicotomica tra conoscenza formale e mondo
reale, tra res cogitans e res extensa. Si tratta di una dicotomia
che si riscontra in tutti i sistemi e le ideologie nell’età moderna.
Anche
l’individualismo può essere considerato espressione del razionalismo
illuminista che ha condotto al teorema del decisore razionale attraverso quelle
scienze sociali che di più si ispirano al formalismo logico matematico.
L’individuo e l’individualità della teoria classica in economia eredita
indubbiamente la dicotomia razionalista tra res cogitans e res
extensa, una dicotomia che mostra i limiti delle concezioni dell’agire
umano e della teoria sociale. Ricordiamo il paradosso oggi sperimentato dalla
psicologia morale per cui un decisore perfettamente razionale non è in grado di
prendere alcuna decisione senza ricorso all’intuizione.[3]
Pertanto,
è proprio sul concetto di razionalità, fonte dei diritti naturali, che bisogna
spostare, in modo preliminare, l’attenzione. Paradossalmente, il razionalismo
considerato in modo assoluto, addirittura idealizzato, può conciliarsi, anche
in rapporto ai diritti naturali e al valore assoluto della persona, con una
forma di metafisica che considera l’oggettività come qualcosa di dato una volta
per tutte. La conoscenza diventa soltanto uno svelamento o meglio, in modo
razionale, la conoscenza non sarebbe che una approssimazione sempre maggiore
verso un mondo oggettivo dato e costituito. Un mondo in cui, l’attività svolta
dal soggetto conoscente, risulterebbe in ogni caso priva di responsabilità
verso il proprio oggetto, come se fosse possibile guardare l’universo senza
farsi coinvolgere, da lontano o di nascosto “sbirciando attraverso il buco
della serratura”. Watzlawick definisce questo atteggiamento verso la conoscenza
come "realismo metafisico". Un limite, quello razionalista
giusnaturalista, che condiziona l’esperimento mentale per giungere ad una
decisione su quale patto sociale stringere, costruito sul concetto di
“posizione originaria” di John Rawls come osserva Drew Westen proprio rispetto
al fatto che la razionalità implicita nella scelta razionale, si o meno sotto
un velo di ignoranza, deresponsabilizza il soggetto e non è in grado di
valutare l’incidenza, nella scelta, di ciò che viene considerato, per
definizione, irrazionalità, cioè l’intuizione che nasce dalla
partecipazione emotiva alla scelta, una partecipazione che invece affonda le
radici nei più profondi meccanismi evolutivi della mente e della coscienza.[4]
L'osservatore è parte
dell'universo che osserva e cambia insieme ad esso e in tal modo si realizza
come responsabile della conoscenza e dell’uso che ne fa (Bateson: "la
struttura che connette tutte le strutture viventi"), il che rende
impossibile un punto di osservazione esterno al sistema osservato. Anche l'oggettività
intesa dal punto di vista della cibernetica di primo ordine è falsata
dall'illusione di considerarsi esterni al sistema osservato. In tal senso, von Foerster
afferma che "l'oggettività è l'illusione che si possano fare osservazioni
senza un osservatore". Chi adotta questa dottrina dell'oggettività si
sente esentato dal dover assumersi le proprie responsabilità rispetto alle
proprie osservazioni, in quanto ritiene che sia la realtà ad esprimere sé
stessa attraverso la conoscenza umana. Von Foerster aggiunge quindi a
complemento dell'oggettività anche l'etica che deriva dal fatto di doversi
assumere la responsabilità per le proprie osservazioni, per la realtà che si
contribuisce a costruire, da qui anche l'imperativo etico di operare per
contribuire ad accrescere le possibilità di scelta, quindi di apertura,
piuttosto che chiuderle con verità "oggettive", in un sistema in cui
l'oggettività assume una dimensione metafisica bisogna, al contrario, agire
sempre “in modo da accrescere il numero delle possibilità di scelta".
Il concetto di realtà su
esposto si sviluppa in biologia nel tentativo di un superamento della dicotomia
tra scienze umane e scienze empiriche. Mentre avvicina la riflessione
epistemologica alla teoria fenomenologica che vuole che la realtà non sia da
considerare un dominio indipendente dall'osservatore, per cui l'oggettività
deve essere messa tra parentesi con la sospensione del giudizio su di essa. È
questa la premessa fondamentale del costruttivismo.
Il filosofo irlandese Giovanni Scoto Eriugena formula quello che concettualmente
può essere considerato il manifesto del costruttivismo radicale: “l’intelletto
genera da sé stesso e dentro sé stesso la sua ragione, nella quale conosce in
anticipo e precrea causativamente tutte le cose che desidera fare.” (Periphyseon)[5]
In questo concetto troviamo anche la formulazione del limite del concetto di
razionalità bassato sulla dicotomia tra corpo e mente, conoscenza e materia.
Aron
non ha mai avuto rapporti col costruttivismo. Ma nei termini fenomenologici con
cui pone l’oggettività storica sicuramente lo avvicinano ad una concezione che,
partendo dalle istanze esistenzialiste, portano ad una idea diversa di
razionalità e di responsabilità, una idea che lo porta a rivalutare i frutti
del dono fatto a Prometeo piuttosto che a vederne soltanto gli effetti nefasti
sull’individuo umano. Un atteggiamento positivo che è frutto proprio del fatto
che Aron crede nel valore morale dell’assunzione di responsabilità rispetto
alle decisioni da parte dell’uomo Prometeo, una assunzione di responsabilità
verso i propri simili, verso il mondo e la natura. Inoltre Aron limita il
sapere scientifico e la razionalità alla sua funzione strumentale, distaccata
dalla valutazione morale la quale costituisce una istanza superiore alla stessa
conoscenza razionale in virtù proprio della responsabilità e della libertà del
soggetto conoscente da cui non è possibile, in ogni caso, esimersi se non col
pregiudizio ideologico.
Pertanto,
per Aron, al contrario di Horkheimer, la ragione nella sua espressione della
razionalità scientifica e dello sviluppo della tecnica non è responsabile
dell’alienazione e della omologazione dell’individuo e della sua libertà. Al
contrario è proprio nei principi e nei valori della modernità che trova corpo
il processo di liberazione e di affermazione dell’individuo: «I tre valori che
mi sono sembrati immanenti alla civiltà moderna, uguaglianza, personalità,
universalità, ciascuno dei quali provoca interpretazioni divergenti, si
nutrono, forse tutti e tre, alla fonte della modernità, dell’ambizione
prometeica: l’ambizione, per riprendere la formula cartesiana, di diventare
padroni e possessori della natura grazie alla scienza e alla tecnica.»[6]
L’ambizione prometeica di diventare padroni della natura è l’impulso che porta
l’umanità al miglioramento della propria condizione attraverso l’affermazione
della libertà e dell’individualità che si esprime attraverso lo sviluppo della
conoscenza e della morale. Questa è la società aperta per Raymond Aron, il
mondo di Aron.
Horkheimer
parte dalle medesime prerogative e, come Aron, considera l’Illuminismo come
momento culminante di affermazione dei valori degli individui umani. Tuttavia,
Horkheimer colloca in una utopia astorica la possibilità della loro piena
realizzazione mentre condanna la realtà della storia umana. Aron è più
ottimista e vede proprio nella vicenda umana e nella sua storia la realizzazione
e l’affermazione di questi valori in un modo sempre provvisorio e sempre
limitato e destinato, nella sua grandiosità e bellezza, ad essere sempre
incompiuto, proprio perché è così che l’umanità si può esprimere senza tradire
i principi della libertà. Aron, come dice Dahrendorf appartiene a quella
schiera di intellettuali che hanno fatto proprie le virtù della libertà e così
hanno resistito, anche con l’isolamento, alle lusinghe del totalitarismo e
delle sue ideologie Questi intellettuali, dice sempre Dahrendorf “Sono
semplicemente uomini e donne che condividono con Erasmo le virtù della libertà.
Sono intellettuali pubblici che, nel tempo in cui è toccato loro di vivere,
hanno resistito alle tentazioni del totalitarismo. E sono quindi rappresentanti
di quello che si può chiamare lo spirito liberale, intendendo con questa
espressione un atteggiamento intellettuale di fondo che può essere
caratterizzato dalle virtù cardinali [della libertà] … Ma soprattutto, essi
rappresentano un concetto di libertà, che è insieme rigorosamente definito e
intenso. Come diceva Isaiah Berlin gli uomini vogliono fare la propria vita.
«Questa la libertà quale è stata intesa dai liberali nel mondo moderno dai
tempi di Erasmo ai nostri giorni.”[7]
Libertà e individualità, così come miglioramento della condizione umana sotto
tutti gli aspetti materiali e morali ed etiche, si congiungono nel dare un
senso e un valore al concetto di umanità. Mentre, per contro, l’aspirazione
utopistica e astorica di una libertà assoluta congiunta spesso nelle vicende
politiche con “La combinazione di un legame indefettibile, di un capo assoluto
o di una speranza di paradiso, e di una trasfigurazione quasi religiosa è una
ricetta infallibile per sostituire le società aperte con gli Stati totalitari.
Gli intellettuali che si lasciarono traviare da quelle visioni hanno
riconosciuto in seguito che il cedimento alla tentazione aveva loro imposto il sacrificium
intellectus, cioè la rinuncia proprio a quello che è l’elemento costitutivo
dell’attività intellettuale, la libertà.”[8]
[1]
Max
Horkheimer e Theodor W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi,
Torino 1976, pp. 12-15.
[2] Raymond Aron, op. cit., 1991, p. 260.
[3]
Vedi Jonathan
Haidt, Menti tribali. Perché le brave persone si dividono su politica e
religione, 2012, Le Scienze, e-book.
[4]
Drew Westen, La
mente politica, Il saggiatore. Gli studi di psicologia morale mettono a
nudo le difficoltà di costruzione di un agire sociale fondato sul presupposto
del calcolo razionale. Una difficoltà che porta la ricerca a provare ad andare
oltre la visione dicotomica della realtà suddivisa tra razionale e reale, mente
e corpo. Vedi Jonathan Haidt.
[5]
Cit. in Gabriele
Chiari, Il costruttivismo in psicologia e in psicoterapia, Raffaello Cortina Editore,
Milano 2016, p. 79.
[6] Raymond Aron, op. cit., 1991; p. 260.
[7] Ralf Dahrendorf, op.
cit., 2007, pp. 83-84.
[8] Ralf
Dahrendorf, op. cit., 2007, p. 43.
domenica 11 luglio 2021
Raymond Aron: quale liberalismo? Dall’esistenzialismo al liberalismo
Il liberalismo come orientamento
etico politico nel panorama delle molteplici declinazioni che storicamente ha
assunto, oppure come astrazione delle caratteristiche riconoscibili nei vari
pensatori, nelle idee politiche e nei movimenti, caratteristiche che sono
riconducibili sempre al rigoroso rispetto dei diritti e delle sfere individuali
da parte dei pubblici poteri e della libertà di esprimere le proprie opinioni e
di organizzarsi in associazioni per farle diventare realtà. In tal senso il
liberalismo, al di là delle varie espressioni storiche, si potrebbe dire che
sia un “tipo ideale” secondo il significato che a questo concetto ha attribuito
Max Weber: “l’accentuazione di uno o alcuni punti di vista, e mediante la
connessione di una quantità di fenomeni particolari diffusi e discreti,
esistenti qui in maggiore là in minore misura, e talvolta anche assenti,
corrispondenti a quei punti di vista unilateralmente posti in luce, in un
quadro concettuale in sé unitario”[1]. I
fenomeni e i punti di vista che individuano questo “tipo ideale” sono quelli
indicati riguardanti le libertà individuali e il rispetto dei diritti, rispetto
a questi punti di vista una politica, un pensatore può essere definita più o
meno liberale, considerando che la democrazia come metodo non è per forza di
cose una democrazia liberale, quindi per parlare di liberal democrazia bisogna
che gli aspetti riconoscibili del liberalismo siano affermati.
Nella connessione tra liberalismo e
giusnaturalismo il richiamo di Norberto Bobbio ai principi filosofici che
possono ispirare il pensiero liberale, consente, attraverso un approfondimento
dell’idea di razionalità, di valutare una prospettiva più aperta rispetto a
quella dei cosiddetti diritti naturali precedenti alla nascita dello Stato
considerato frutto di accordo tra gli uomini. Per Bobbio, infatti, bisogna
porre l’accento sul fatto che il liberalismo è espressione dell’individualismo
razionalistico, quindi inconcepibile al di fuori della società moderna e del
pensiero scientifico da cui questa è scaturita; un individualismo
razionalistico “proprio della filosofia illuministica, per il quale l’uomo in
quanto essere razionale è persona e ha un valore assoluto, prima e
indipendentemente dai rapporti di interazione coi suoi simili. Come persona, il
singolo è superiore a qualsiasi società di cui entra a far parte, e lo Stato, a
sua volta, è soltanto un prodotto dell’uomo (in quanto sorge da un accordo o da
un contratto fra gli uomini stessi), e non è mai una persona reale, bensì solo
una somma di individui aventi ciascuno la propria sfera di libertà.” Il
razionalismo in senso classico può trasformarsi, rispetto ai diritti naturali e
al valore assoluto della persona, in una forma subdola di metafisica che
considera l’oggettività come qualcosa di dato una volta per tutte in modo
indipendente dall’osservatore. La conoscenza non sarebbe che una
approssimazione sempre maggiore verso questo mondo oggettivo, fisico in cui
l’attività svolta dal soggetto conoscente e dalla sua ricerca risulta priva di
ogni responsabilità e valore in senso umano ed etico, come se fosse possibile
guardare l’universo “sbirciando attraverso il buco della serratura”, come è
stato detto, oppure, come si potrebbe dire oggi, affidandosi alla fantascienza,
restando seduti comodamente alla propria poltrona guardano il mondo dalla
finestra simulata di un calcolatore come potrebbe fare un osservatore di un
mondo alieno. Watzlawick definisce questo atteggiamento verso la conoscenza
come "realismo metafisico". Un limite, quello razionalista
giusnaturalista, che pesa anche nella idea i “posizione originaria” di John
Rawls.
Tuttavia, l'osservatore è parte dell'universo che osserva e cambia insieme
ad esso (Bateson: "la struttura che connette tutte le strutture
viventi"), il che rende impossibile un tale punto di osservazione.
L'oggettività intesa dal punto di vista della cibernetica di primo ordine è
falsata dall'illusione di considerarsi esterni al sistema osservato. In tal
senso, von Foerster afferma che "l'oggettività è l'illusione che si
possano fare osservazioni senza un osservatore". Chi adotta questa
dottrina dell'oggettività si sente esentato dal dover assumersi le proprie
responsabilità rispetto alle proprie osservazioni, in quanto ritiene che sia la
realtà ad esprimere sé stessa. Von Foerster aggiunge quindi a complemento
dell'oggettività anche l'etica che deriva dal fatto di doversi assumere la responsabilità
per le proprie osservazioni, per la realtà che si contribuisce a costruire, da
qui anche l'imperativo etico di operare per contribuire ad accrescere le
possibilità di scelta, quindi di apertura, piuttosto che chiuderle con verità
"oggettive", in un sistema in cui l'oggettività assume una dimensione
metafisica: "agisci sempre in modo da accrescere il numero delle
possibilità di scelta".
Il concetto di realtà su esposto si sviluppa in biologia nel tentativo di
un superamento della dicotomia tra scienze umane e scienze empiriche. Mentre
avvicina la riflessione epistemologica alla teoria fenomenologica che vuole che
la realtà non sia da considerare un dominio indipendente dall'osservatore, per
cui l'oggettività deve essere messa tra parentesi con la sospensione del
giudizio su di essa.
Nella ricerca delle origini filosofiche del costruttivismo, il filosofo
irlandese Giovanni Scoto Eriugena formula una analogia che secondo von
Glasersfeld può essere considerata il manifesto del costruttivismo radicale
contemporaneo: “Proprio come l’artista esperto estrae la sua arte da sé stesso
e dentro sé stesso e in essa prevede le cose che deve fare, […] così
l’intelletto genera da sé stesso e dentro sé stesso la sua ragione, nella quale
conosce in anticipo e precrea causativamente tutte le cose che desidera fare.”[2]
(Periphyseon)
Tra i precursori del costruttivismo c’è certamente Kant che riteneva che la
realtà così com’è (noumeno – cosa in sé) non sia conoscibile. Mentre ciò che
conosciamo, il fenomeno, ci appare attraverso le forme a priori della
conoscenza. Quindi l’ordine oggettivo della natura non è che il prodotto
dell’interazione della mente con ciò che si trova fuori di essa; pertanto,
oggettivo vuol dire “intersoggettivamente valido”.
Aron sicuramente non può essere definito costruttivista. Ma nei termini in
cui si pone l’oggettività nella teoria costruttivista sicuramente non è
estranea all’esperienza di Aron che perviene ad una definizione della realtà
sociale e storica attraverso una lunga riflessione giovanile
sull’esistenzialismo bergsoniano e la fenomenologia filtrati successivamente
dall’interesse verso le teorie di Max Weber.
[1] Max
Weber, Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, Torino 1959,
p.108 (in Bedeschi).
[2] Cit.
in Gabriele
Chiari, Il costruttivismo
in psicologia e in psicoterapia,
Raffaello Cortina Editore, Milano 2016, p. 79.
sabato 19 giugno 2021
Qual è il senso dell'elitismo di Raymond Aron?
Giuseppe Bedeschi1 ascrive la figura di Aron tra i teorici della teoria sociale elitista. Citando Aron, Bedeschi osserva: “Tutte le società ... per lo meno tutte le società complesse, sono governate da un piccolo numero di uomini, i regimi variano secondo il carattere della minoranza che esercita l’autorità. Di più: all’interno stesso dei partiti politici è sempre una minoranza quella che governa. A questa sorte non sfuggono nemmeno le società democratico-liberali.”
A nostro avviso rispetto a questa collocazione bisogna valutare il valore che nel pensiero di Aron è attribuito dal diverso giudizio sul positivismo e alla critica radicale, anti ideologica e anti scientista, o meglio, anti metafisica, che Aron apponeva rispetto ad ogni forma di valutazione, per così dire, scientifica, della realtà e dell’oggettività storica. Una critica che, come vedremo porta il suo pensiero ad avere maggiori affinità metodologiche con pragmatismo o addirittura con alcuni aspetti del costruttivismo politico. Ma se per elitismo intendiamo pure una visione della dinamica sociale tendente verso una continua creazione di ineguaglianze e differenziazioni di ruolo sociale, allora senz’altro, Aron può essere considerato un elitista. Ma il suo elitismo non è altro che un aspetto che scaturisce della sua idea di un meccanismo dialettico, e conflittuale, si potrebbe dire, che governa lo sviluppo sociale che non può evitare la delega e il rispetto del principio del merito nella differenziazione di ruoli e specializzazioni in ogni settore della società, come della cultura; e dall’altro non può fare a meno di delegare rispetto al problema del governo della società e della gestione del potere attraverso una democrazia che piuttosto che parificare e rendere omogenee le differenze deve, nella strada dei conflitti che portano al progresso, tendere a valorizzarle, garantendo a tutti le medesime opportunità e, “rimuovendo gli ostacoli” che a queste opportunità si frappongono.
In tali termini la società di eguali è destinata a rimenare nel campo dell’utopia, di quella utopia che può essere valore nella sua natura di impulso al cambiamento; ma che diventa elemento di conflitto e, spesso, ostacolo al progresso quanto si trasforma in bandiere ideologica.
Quindi la radice dell’elitismo aroniano la troviamo in una idea meritocratica che alimenta la dinamica sociale piuttosto che in un’idea di conflitto e di dominio tra ceti sociali. Un’idea che porta a ridurre il programma egualitario, fino a relegarlo al campo dell’utopia, da un lato, per poi valorizzarlo all’interno di quella stessa dinamica conflittuale del progresso che porta le società sempre più sulla strada di una maggiore specializzazione e differenziazione di ruoli e di funzioni all’interno di un quadro governato attraverso istituzioni e metodo democratico nelle società liberali, un metodo che valorizza le differenze piuttosto che parificarle. In questo quadro la libertà è il fine e non la democrazia che, di per sé considerata come legge della maggioranza, può sfociare anche nella tirannide come nel timore di Tocqueville.
In particolare, l’elitismo si definisce in rapporto al problema del governo della società: "«La sovranità popolare – sottolinea Aron – non significa che la massa dei cittadini prenda essa stessa, direttamente, le decisioni relative alle finanze pubbliche o alla politica estera. È assurdo paragonare i regimi democratici moderni all’idea irrealizzabile di un regime in cui il popolo si governi da sé». Ma se le cose stanno così, cioè se qualunque regime politico è inevitabilmente oligarchico, è inutile fare del moralismo a questo proposito, scandalizzarsi, perseguire modelli utopistici (tipo “democrazia diretta” di roussoiana-marxiana memoria), ecc.” Il punto essenziale è piuttosto quello di sapere come l’oligarchia è costituita, quali sono le regole in base alle quali essa esercita il proprio potere, in che misura è possibile entrarvi e farne parte, qual è per la collettività il prezzo e il profitto di questo dominio e come questo si combina con quel conflitto sociale di natura democratica che porta al progresso e alla realizzazione delle libertà, che in Aron sono sinonimo anche di opportunità o, come nei principi, su cui è stata dichiarata l’indipendenza degli Stati Uniti d’America, di ricerca della felicità.
[1] Giuseppe Bedeschi, Storia del pensiero liberale, 2015 Rubettino, e-book.
Perché non possiamo non dirci liberali. Il liberalismo critico di Raymond Aron.
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