venerdì 8 marzo 2019

Note. Ragione e Passione. Di fronte alle scelte cruciali di tipo morale, riteniamo di doverci comportare come il Doctor Spock. Tuttavia, per esseri non vulcaniani, ciò risulta pressoché impossibile


Qual è il posto delle passioni nei nostri giudizi morali? Quanto dobbiamo pronunciarci o semplicemente assistiamo ad un avvenimento che mette a prova la nostra sensibilità morale, molto spesso riteniamo di doverci comportare come il Doctor Spock. Tuttavia pare che, per individui umani e non vulcaniani ciò risulta pressoché impossibile.

In una serie di esperimenti che ponevano un soggetto di fronte alla scelta alternativa tra due comportamenti di soggetti terzi ad alta risonanza morale Pare che “le persone esprimessero un giudizio morale in maniera immediata ed emotiva. Il ragionamento era semplicemente il servitore delle passioni e, quando il servitore non riusciva a trovare nessun buon argomento, il padrone comunque non cambiava idea.” I risultati avvaloravano le tesi di Hume secondo cui il ragionamento morale non consiste che in una ricerca a posteriori di ragioni per giustificare un giudizio appena espresso seguendo il proprio istinto[1].
Altri esperimenti e scoperte del neuro biologo Antonio Damasco su pazienti che avevano riportato danni cerebrali in una parte specifica del cervello, subito dietro il ponte nasale; danni che compromettevano fini a quasi annullare la capacità di questi pazienti di esprimere la loro emotività attraverso tutte la caratteristiche delle espressioni che comprendono l linguaggio emotivo, pazienti che conservavano al contempo nessun deficit intellettivo. Accadeva che questi pazienti non fossero in grado di prendere decisioni che riguardassero la loro vita personale o il lavoro, compiendo azioni assurde che portavano a compromettere le relazioni personali o familiari. Questo comportamento ha portato Damasio alla osservazione secondo cui gli “istinti e le reazioni corporee fossero necessari per pensare in termini razionali, e che una funzione della corteccia prefrontale ventro-mediale fosse integrare queste sensazioni istintive nelle riflessioni consapevoli di una persona”.
Infatti i pazienti di Damasio erano in grado di pensare a qualunque cosa senza l’intervento di un filtro emotivo in una situazione in cui qualunque opzione appariva e veniva valutata come tutte le altre e l’unico modo per prendere una decisione  era di esaminare ogni opzione e valutare i pro e i contro usando il ragionamento cosciente, verbale. Il punto è che se ad ogni istante della vita un individuo si trova a dover scegliere tra decine di opzioni possibili, tutte egualmente valide e valutabili, si blocca come una macchia a cui viene tolta la guida e finisce col prendere le decisioni più assurde e quindi, in definitiva, anche le più irrazionali. Quindi i pazienti di Damasco non erano più in grado di prendere decisioni “razionali” nemmeno in quelle situazioni in cui si sarebbe dovuto agire utilizzando soltanto le capacità razionali, della testa per così dire. La conclusione ovvia è che “senza il cuore la testa non riesce a svolgere nemmeno le funzioni essenzialmente cerebrali” e che se viene meno la funzione emotiva, anche di fronte a compiti puramente analitici e organizzativi l’individuo diventa incapace di prendere decisioni. Quindi la capacità decisionale non solo è influenzata dalla funzione emotiva ma addirittura non siamo in grado di esercitarla ed esprimerla senza la presenza della componente emotiva, proprio secondo il modello di Hume secondo cui “quando muore il padrone (le passioni), il servitore (la ragione) non ha né la capacità né il desiderio di mandare avanti la proprietà. E tutto va in rovina.[2]
Tutto ciò ci riporta riflettere sul mito platonico delle due cavalle e a riflettere meglio su due millenni in cui la cultura occidentale costruiti su una storia che ha alla sua base la dicotomia tra mente e corpo e dei modelli educativi centrati esclusivamente sulla formazione delle facoltà intellettuali. Tutto ciò va certamente a detrazione della morale, il cui sistema precipita nella crisi nei momenti in cui il conflitto sempre latente tende a riaffiorare nei fatti di cronaca quotidiana e nella nostra capacità “razionale” riprodurre norme giuridiche.



[1] Jonathan Haidt, Menti tribali, cap. 2 e-book Codice Edizioni, Torino 2013.
[2] Ibidem.

Perché non possiamo non dirci liberali. Il liberalismo critico di Raymond Aron.

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