Qual è il posto delle passioni nei nostri giudizi morali?
Quanto dobbiamo pronunciarci o semplicemente assistiamo ad un avvenimento che
mette a prova la nostra sensibilità morale, molto spesso riteniamo di doverci
comportare come il Doctor Spock. Tuttavia pare che, per individui umani e non
vulcaniani ciò risulta pressoché impossibile.
In una serie di esperimenti che ponevano un soggetto di
fronte alla scelta alternativa tra due comportamenti di soggetti terzi ad alta
risonanza morale Pare che “le persone esprimessero un giudizio morale in
maniera immediata ed emotiva. Il ragionamento era semplicemente il servitore
delle passioni e, quando il servitore non riusciva a trovare nessun buon
argomento, il padrone comunque non cambiava idea.” I risultati avvaloravano le
tesi di Hume secondo cui il ragionamento morale non consiste che in una ricerca
a posteriori di ragioni per giustificare un giudizio appena espresso seguendo
il proprio istinto[1].
Altri esperimenti e scoperte del neuro biologo Antonio
Damasco su pazienti che avevano riportato danni cerebrali in una parte
specifica del cervello, subito dietro il ponte nasale; danni che compromettevano
fini a quasi annullare la capacità di questi pazienti di esprimere la loro
emotività attraverso tutte la caratteristiche delle espressioni che comprendono
l linguaggio emotivo, pazienti che conservavano al contempo nessun deficit
intellettivo. Accadeva che questi pazienti non fossero in grado di prendere
decisioni che riguardassero la loro vita personale o il lavoro, compiendo
azioni assurde che portavano a compromettere le relazioni personali o
familiari. Questo comportamento ha portato Damasio alla osservazione secondo
cui gli “istinti e le reazioni corporee fossero necessari per pensare in
termini razionali, e che una funzione della corteccia prefrontale
ventro-mediale fosse integrare queste sensazioni istintive nelle riflessioni
consapevoli di una persona”.
Infatti i pazienti di Damasio erano in grado di pensare a
qualunque cosa senza l’intervento di un filtro emotivo in una situazione in cui
qualunque opzione appariva e veniva valutata come tutte le altre e l’unico modo
per prendere una decisione era di
esaminare ogni opzione e valutare i pro e i contro usando il ragionamento
cosciente, verbale. Il punto è che se ad ogni istante della vita un individuo
si trova a dover scegliere tra decine di opzioni possibili, tutte egualmente
valide e valutabili, si blocca come una macchia a cui viene tolta la guida e
finisce col prendere le decisioni più assurde e quindi, in definitiva, anche le
più irrazionali. Quindi i pazienti di Damasco non erano più in grado di
prendere decisioni “razionali” nemmeno in quelle situazioni in cui si sarebbe
dovuto agire utilizzando soltanto le capacità razionali, della testa per così
dire. La conclusione ovvia è che “senza il cuore la testa non riesce a svolgere
nemmeno le funzioni essenzialmente cerebrali” e che se viene meno la funzione
emotiva, anche di fronte a compiti puramente analitici e organizzativi
l’individuo diventa incapace di prendere decisioni. Quindi la capacità
decisionale non solo è influenzata dalla funzione emotiva ma addirittura non
siamo in grado di esercitarla ed esprimerla senza la presenza della componente
emotiva, proprio secondo il modello di Hume secondo cui “quando muore il
padrone (le passioni), il servitore (la ragione) non ha né la capacità né il
desiderio di mandare avanti la proprietà. E tutto va in rovina.[2]”
Tutto ciò ci riporta riflettere sul mito platonico delle due
cavalle e a riflettere meglio su due millenni in cui la cultura occidentale
costruiti su una storia che ha alla sua base la dicotomia tra mente e corpo e
dei modelli educativi centrati esclusivamente sulla formazione delle facoltà
intellettuali. Tutto ciò va certamente a detrazione della morale, il cui
sistema precipita nella crisi nei momenti in cui il conflitto sempre latente
tende a riaffiorare nei fatti di cronaca quotidiana e nella nostra capacità
“razionale” riprodurre norme giuridiche.