sabato 6 giugno 2020

Raymond Aron. Progresso e conservazione. Sinistra e destra

La distinzione tra i diversi ordini che costituiscono il tessuto sociale, economico, delle conoscenze, istituzionale, politico, religioso ecc. offre ad Aron la possibilità di individuare con profondità le contraddizioni che si celano dei movimenti storici e nelle posizioni politiche dei protagonisti. Innanzitutto, nelle coppie antinomiche di progresso e conservazione, o rivoluzione e restaurazione, e nelle antinomie politiche di destra e sinistra.

Secondo uno punto di vista consolidato la distinzione tra destra e sinistra si fonda sul privilegio di alcuni valori. Aron fa notare che si tratta però di una contrapposizione “retrospettiva” tendente a mascherare le divisioni e i contrasti che in realtà esistono all’interno degli stessi blocchi di destra e di sinistra: «qua si invoca famiglia, autorità, religione; là eguaglianza, ragione, libertà. Gli uni rispettano l’ordine lentamente elaborato attraverso i secoli, gli altri hanno fede nella capacità dell’uomo di ricostruire la società secondo le leggi della scienza. La destra, partito della tradizione e dei privilegi, contro la sinistra partito dell’avvenire e dell’intelligenza.»[1] L’interpretazione, dice Aron, non è erronea, soltanto che si tratta della metà della verità, poiché i due tipi di persone si trovano indifferentemente in ogni strato sociale o intellettuale indipendentemente dall’essere questi di destra o di sinistra.

Rispetto a questa dissociazione tra realtà ideologica e realtà storica, il punto è per Aron di stabilire perché le rivoluzioni possono avere un andamento catastrofico nonostante le migliori convinzioni dei protagonisti, e di prospettare un atteggiamento diverso che non sia inficiato dalle tare ideologiche, da un lato e dall’altro della barricata politica.

Non esiste, un meccanismo oggettivo che porta alle rivoluzioni a meno che con queste non si voglia intendere il lento e costante processo di cambiamento che intreccia lo sviluppo della conoscenza con la crescita della società e delle relazioni sociali, quello che viene cioè definito come “progresso”.

Il cambiamento avviene attraverso variazione di riferimenti di valore e della percezione delle relazioni che su questi valori si fondano; da questi nascono nuove ricomposizioni della realtà all’interno di contesti ideologici orientati in forma utopistica ad un nuovo modello di relazioni. Queste ideologie sono portatrici in molti casi di una carica distruttiva e iconoclasta nei confronti delle relazioni e delle istituzioni che rappresentano la realtà che si vuole cambiare.

Pertanto, si può distinguere tra processi rivoluzionari che intrecciano con lo sviluppo della conoscenza, la crescita della società e delle relazioni sociali, cioè lo sviluppo rivoluzionario del “progresso” che porta anche al cambiamento dei valori di riferimento su cui si realizzano le relazioni sociali.

Dall’altro lato abbiamo processi rivoluzionari che sono innescati da contesti ideologici che esprimono in forma utopistica un nuovo modello di relazioni e sulla base dei quali perseguono una ricomposizione della realtà sociale. Questi processi passano innanzitutto per una fase distruttiva che vede il crollo di una legittimità delle vecchie istituzioni e relazioni sociali, senza che ancora si sia costituita una nuova legittimità. L’utopia promette comunque che esista una seconda fase costruttiva tendente ad ampliare gli istituti rappresentativi e consolidare le libertà civili all’interno di un nuovo modello di relazioni. Nel caso della Rivoluzione francese «la rivoluzione costruttiva si identifica più o meno con i risultati degli avvenimenti che consideriamo benefici: sistema rappresentativo, eguaglianza sociale, libertà personale e d’opinione; alla rivoluzione distruttiva viene invece attribuita la responsabilità del terrore, delle guerre, della tirannide.»[2]

Tuttavia, dice Aron, la via rivoluzionaria verso le forme di cambiamento prospettate dalla “rivoluzione costruttiva” non esigono per forza di cosa il ricorso o il passaggio attraverso una “rivoluzione distruttiva”: «nulla impedisce di pensare che anche la monarchia potesse introdurre a poco a poco gli elementi essenziali di ciò che a distanza ci appare opera della Rivoluzione. Ma le ideologie che animavano la Rivoluzione travolsero la mentalità sulla quale la monarchia era fondata, pur senza essere a rigore incompatibili con essa; suscitarono quella crisi legittimistica che produsse la grande peur e il Terrore»[3].

Il punto è che le forme rivoluzionarie del tipo utopistico ideologico, non è detto che seguano le forme “rivoluzionarie” del progresso letto in chiave illuministica di affrancamento dell’essere umano dai vincoli della natura e di sviluppo della conoscenza. In questa chiave ciò che nelle attualità può essere considerato rivoluzionario può rivelarsi in contrasto con le istanze portatrici del progresso dell’umanità. Dall’altro lato niente indica che per vedere attuate le rivoluzioni provenienti dal progresso dell’umanità sia necessario che si realizzino dei moti violenti e distruttivi delle istituzioni. E tutto ciò non si combina se non in modo ambivalente con le distinzioni tra destra e sinistra nell'ambito politico!

Per questo motivo si esprime solo una parte della realtà quando si tende a distinguere tra una sinistra progressista e una destra conservatrice sulla base del riconoscimento, o meno di alcuni valori tradizionali quali la famiglia, la patria, le culture locali ecc. Se per distinguere utilizziamo invece i modelli indicati da Aron in cui lo spartiacque è contrassegnato dal progresso della conoscenza e dai valori dell’Illuminismo allora il discrimine diventa il perseguimento ideologico di una utopia rivoluzionaria che, a cose fatte, potrebbe rivelarsi, anche nelle migliori intenzioni, come la peggiore nemica dei valori del progresso e di libertà e di eguaglianza. Mentre al contrario una illuminata forma di “conservazione” potrebbe essere conciliabile con un percorso di riforme che consenta di realizzare al meglio quel lento e costante processo di cambiamento che intreccia lo sviluppo della conoscenza con la crescita della società e delle relazioni sociali, quello che viene definito “progresso”. E, in modo più banale, non sempre quei valori "retrospettivi" sono idonei a distinguere tra l'uno e l'altro lato delle opzioni politiche, per non dire di quella secondo cui anche l'intelligenza e l'avvenire si troverebbero da un solo lato della barricata. Il problema per Aron si esprime tutto nella capacità di apertura e riconoscimento dell'altro.



[1]Raymond Aron L’oppio degli Intellettuali, 1955, Cappelli edizioni, Introduzione, p. 29.

[2]ibidem p. 31.

[3]ibidem p. 31.


Perché non possiamo non dirci liberali. Il liberalismo critico di Raymond Aron.

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