La distinzione tra i diversi ordini
che costituiscono il tessuto sociale, economico, delle conoscenze, istituzionale,
politico, religioso ecc. offre ad Aron la possibilità di individuare con
profondità le contraddizioni che si celano dei movimenti storici e nelle
posizioni politiche dei protagonisti. Innanzitutto, nelle coppie antinomiche di progresso
e conservazione, o rivoluzione e restaurazione, e nelle antinomie politiche di
destra e sinistra.
Secondo uno punto di vista consolidato
la distinzione tra destra e sinistra si fonda sul privilegio di alcuni valori. Aron
fa notare che si tratta però di una contrapposizione “retrospettiva” tendente a
mascherare le divisioni e i contrasti che in realtà esistono all’interno degli
stessi blocchi di destra e di sinistra: «qua si invoca famiglia, autorità,
religione; là eguaglianza, ragione, libertà. Gli uni rispettano l’ordine
lentamente elaborato attraverso i secoli, gli altri hanno fede nella capacità
dell’uomo di ricostruire la società secondo le leggi della scienza. La destra,
partito della tradizione e dei privilegi, contro la sinistra partito
dell’avvenire e dell’intelligenza.»[1]
L’interpretazione, dice Aron, non è erronea, soltanto che si tratta della metà
della verità, poiché i due tipi di persone si trovano indifferentemente in ogni
strato sociale o intellettuale indipendentemente dall’essere questi di destra o
di sinistra.
Rispetto a questa dissociazione tra
realtà ideologica e realtà storica, il punto è per Aron di stabilire perché le
rivoluzioni possono avere un andamento catastrofico nonostante le migliori
convinzioni dei protagonisti, e di prospettare un atteggiamento diverso che non
sia inficiato dalle tare ideologiche, da un lato e dall’altro della barricata
politica.
Non esiste, un meccanismo oggettivo
che porta alle rivoluzioni a meno che con queste non si voglia intendere il lento
e costante processo di cambiamento che intreccia lo sviluppo della conoscenza
con la crescita della società e delle relazioni sociali, quello che viene cioè
definito come “progresso”.
Il cambiamento avviene attraverso
variazione di riferimenti di valore e della percezione delle relazioni che su
questi valori si fondano; da questi nascono nuove ricomposizioni della realtà
all’interno di contesti ideologici orientati in forma utopistica ad un nuovo
modello di relazioni. Queste ideologie sono portatrici in molti casi di una
carica distruttiva e iconoclasta nei confronti delle relazioni e delle
istituzioni che rappresentano la realtà che si vuole cambiare.
Pertanto, si può distinguere tra
processi rivoluzionari che intrecciano con lo sviluppo della conoscenza, la crescita
della società e delle relazioni sociali, cioè lo sviluppo rivoluzionario del “progresso”
che porta anche al cambiamento dei valori di riferimento su cui si realizzano
le relazioni sociali.
Dall’altro lato abbiamo processi
rivoluzionari che sono innescati da contesti ideologici che esprimono in forma
utopistica un nuovo modello di relazioni e sulla base dei quali perseguono una
ricomposizione della realtà sociale. Questi processi passano innanzitutto per
una fase distruttiva che vede il crollo di una legittimità delle vecchie
istituzioni e relazioni sociali, senza che ancora si sia costituita una nuova
legittimità. L’utopia promette comunque che esista una seconda fase costruttiva
tendente ad ampliare gli istituti rappresentativi e consolidare le libertà
civili all’interno di un nuovo modello di relazioni. Nel caso della Rivoluzione
francese «la rivoluzione costruttiva si identifica più o meno con i risultati
degli avvenimenti che consideriamo benefici: sistema rappresentativo, eguaglianza
sociale, libertà personale e d’opinione; alla rivoluzione distruttiva viene
invece attribuita la responsabilità del terrore, delle guerre, della
tirannide.»[2]
Tuttavia, dice Aron, la via
rivoluzionaria verso le forme di cambiamento prospettate dalla “rivoluzione
costruttiva” non esigono per forza di cosa il ricorso o il passaggio attraverso
una “rivoluzione distruttiva”: «nulla impedisce di pensare che anche la
monarchia potesse introdurre a poco a poco gli elementi essenziali di ciò che a
distanza ci appare opera della Rivoluzione. Ma le ideologie che animavano la
Rivoluzione travolsero la mentalità sulla quale la monarchia era fondata, pur
senza essere a rigore incompatibili con essa; suscitarono quella crisi
legittimistica che produsse la grande peur e il Terrore»[3].
Il punto è che le forme
rivoluzionarie del tipo utopistico ideologico, non è detto che seguano le forme
“rivoluzionarie” del progresso letto in chiave illuministica di affrancamento
dell’essere umano dai vincoli della natura e di sviluppo della conoscenza. In
questa chiave ciò che nelle attualità può essere considerato rivoluzionario può
rivelarsi in contrasto con le istanze portatrici del progresso dell’umanità. Dall’altro
lato niente indica che per vedere attuate le rivoluzioni provenienti dal
progresso dell’umanità sia necessario che si realizzino dei moti violenti e
distruttivi delle istituzioni. E tutto ciò non si combina se non in modo ambivalente con le distinzioni tra destra e sinistra nell'ambito politico!
Per questo motivo si esprime solo una
parte della realtà quando si tende a distinguere tra una sinistra progressista
e una destra conservatrice sulla base del riconoscimento, o meno di alcuni
valori tradizionali quali la famiglia, la patria, le culture locali ecc. Se per
distinguere utilizziamo invece i modelli indicati da Aron in cui lo spartiacque
è contrassegnato dal progresso della conoscenza e dai valori dell’Illuminismo
allora il discrimine diventa il perseguimento ideologico di una utopia rivoluzionaria
che, a cose fatte, potrebbe rivelarsi, anche nelle migliori intenzioni, come la
peggiore nemica dei valori del progresso e di libertà e di eguaglianza. Mentre
al contrario una illuminata forma di “conservazione” potrebbe essere
conciliabile con un percorso di riforme che consenta di realizzare al meglio quel
lento e costante processo di cambiamento che intreccia lo sviluppo della
conoscenza con la crescita della società e delle relazioni sociali, quello che
viene definito “progresso”. E, in modo più banale, non sempre quei valori "retrospettivi" sono idonei a distinguere tra l'uno e l'altro lato delle opzioni politiche, per non dire di quella secondo cui anche l'intelligenza e l'avvenire si troverebbero da un solo lato della barricata. Il problema per Aron si esprime tutto nella capacità di apertura e riconoscimento dell'altro.
[1]Raymond
Aron L’oppio degli Intellettuali, 1955, Cappelli edizioni, Introduzione,
p. 29.
[2]ibidem p. 31.
[3]ibidem p. 31.