Il liberalismo come orientamento
etico politico nel panorama delle molteplici declinazioni che storicamente ha
assunto, oppure come astrazione delle caratteristiche riconoscibili nei vari
pensatori, nelle idee politiche e nei movimenti, caratteristiche che sono
riconducibili sempre al rigoroso rispetto dei diritti e delle sfere individuali
da parte dei pubblici poteri e della libertà di esprimere le proprie opinioni e
di organizzarsi in associazioni per farle diventare realtà. In tal senso il
liberalismo, al di là delle varie espressioni storiche, si potrebbe dire che
sia un “tipo ideale” secondo il significato che a questo concetto ha attribuito
Max Weber: “l’accentuazione di uno o alcuni punti di vista, e mediante la
connessione di una quantità di fenomeni particolari diffusi e discreti,
esistenti qui in maggiore là in minore misura, e talvolta anche assenti,
corrispondenti a quei punti di vista unilateralmente posti in luce, in un
quadro concettuale in sé unitario”[1]. I
fenomeni e i punti di vista che individuano questo “tipo ideale” sono quelli
indicati riguardanti le libertà individuali e il rispetto dei diritti, rispetto
a questi punti di vista una politica, un pensatore può essere definita più o
meno liberale, considerando che la democrazia come metodo non è per forza di
cose una democrazia liberale, quindi per parlare di liberal democrazia bisogna
che gli aspetti riconoscibili del liberalismo siano affermati.
Nella connessione tra liberalismo e
giusnaturalismo il richiamo di Norberto Bobbio ai principi filosofici che
possono ispirare il pensiero liberale, consente, attraverso un approfondimento
dell’idea di razionalità, di valutare una prospettiva più aperta rispetto a
quella dei cosiddetti diritti naturali precedenti alla nascita dello Stato
considerato frutto di accordo tra gli uomini. Per Bobbio, infatti, bisogna
porre l’accento sul fatto che il liberalismo è espressione dell’individualismo
razionalistico, quindi inconcepibile al di fuori della società moderna e del
pensiero scientifico da cui questa è scaturita; un individualismo
razionalistico “proprio della filosofia illuministica, per il quale l’uomo in
quanto essere razionale è persona e ha un valore assoluto, prima e
indipendentemente dai rapporti di interazione coi suoi simili. Come persona, il
singolo è superiore a qualsiasi società di cui entra a far parte, e lo Stato, a
sua volta, è soltanto un prodotto dell’uomo (in quanto sorge da un accordo o da
un contratto fra gli uomini stessi), e non è mai una persona reale, bensì solo
una somma di individui aventi ciascuno la propria sfera di libertà.” Il
razionalismo in senso classico può trasformarsi, rispetto ai diritti naturali e
al valore assoluto della persona, in una forma subdola di metafisica che
considera l’oggettività come qualcosa di dato una volta per tutte in modo
indipendente dall’osservatore. La conoscenza non sarebbe che una
approssimazione sempre maggiore verso questo mondo oggettivo, fisico in cui
l’attività svolta dal soggetto conoscente e dalla sua ricerca risulta priva di
ogni responsabilità e valore in senso umano ed etico, come se fosse possibile
guardare l’universo “sbirciando attraverso il buco della serratura”, come è
stato detto, oppure, come si potrebbe dire oggi, affidandosi alla fantascienza,
restando seduti comodamente alla propria poltrona guardano il mondo dalla
finestra simulata di un calcolatore come potrebbe fare un osservatore di un
mondo alieno. Watzlawick definisce questo atteggiamento verso la conoscenza
come "realismo metafisico". Un limite, quello razionalista
giusnaturalista, che pesa anche nella idea i “posizione originaria” di John
Rawls.
Tuttavia, l'osservatore è parte dell'universo che osserva e cambia insieme
ad esso (Bateson: "la struttura che connette tutte le strutture
viventi"), il che rende impossibile un tale punto di osservazione.
L'oggettività intesa dal punto di vista della cibernetica di primo ordine è
falsata dall'illusione di considerarsi esterni al sistema osservato. In tal
senso, von Foerster afferma che "l'oggettività è l'illusione che si
possano fare osservazioni senza un osservatore". Chi adotta questa
dottrina dell'oggettività si sente esentato dal dover assumersi le proprie
responsabilità rispetto alle proprie osservazioni, in quanto ritiene che sia la
realtà ad esprimere sé stessa. Von Foerster aggiunge quindi a complemento
dell'oggettività anche l'etica che deriva dal fatto di doversi assumere la responsabilità
per le proprie osservazioni, per la realtà che si contribuisce a costruire, da
qui anche l'imperativo etico di operare per contribuire ad accrescere le
possibilità di scelta, quindi di apertura, piuttosto che chiuderle con verità
"oggettive", in un sistema in cui l'oggettività assume una dimensione
metafisica: "agisci sempre in modo da accrescere il numero delle
possibilità di scelta".
Il concetto di realtà su esposto si sviluppa in biologia nel tentativo di
un superamento della dicotomia tra scienze umane e scienze empiriche. Mentre
avvicina la riflessione epistemologica alla teoria fenomenologica che vuole che
la realtà non sia da considerare un dominio indipendente dall'osservatore, per
cui l'oggettività deve essere messa tra parentesi con la sospensione del
giudizio su di essa.
Nella ricerca delle origini filosofiche del costruttivismo, il filosofo
irlandese Giovanni Scoto Eriugena formula una analogia che secondo von
Glasersfeld può essere considerata il manifesto del costruttivismo radicale
contemporaneo: “Proprio come l’artista esperto estrae la sua arte da sé stesso
e dentro sé stesso e in essa prevede le cose che deve fare, […] così
l’intelletto genera da sé stesso e dentro sé stesso la sua ragione, nella quale
conosce in anticipo e precrea causativamente tutte le cose che desidera fare.”[2]
(Periphyseon)
Tra i precursori del costruttivismo c’è certamente Kant che riteneva che la
realtà così com’è (noumeno – cosa in sé) non sia conoscibile. Mentre ciò che
conosciamo, il fenomeno, ci appare attraverso le forme a priori della
conoscenza. Quindi l’ordine oggettivo della natura non è che il prodotto
dell’interazione della mente con ciò che si trova fuori di essa; pertanto,
oggettivo vuol dire “intersoggettivamente valido”.
Aron sicuramente non può essere definito costruttivista. Ma nei termini in
cui si pone l’oggettività nella teoria costruttivista sicuramente non è
estranea all’esperienza di Aron che perviene ad una definizione della realtà
sociale e storica attraverso una lunga riflessione giovanile
sull’esistenzialismo bergsoniano e la fenomenologia filtrati successivamente
dall’interesse verso le teorie di Max Weber.
[1] Max
Weber, Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, Torino 1959,
p.108 (in Bedeschi).
[2] Cit.
in Gabriele
Chiari, Il costruttivismo
in psicologia e in psicoterapia,
Raffaello Cortina Editore, Milano 2016, p. 79.