domenica 11 luglio 2021

Raymond Aron: quale liberalismo? Dall’esistenzialismo al liberalismo

Il liberalismo come orientamento etico politico nel panorama delle molteplici declinazioni che storicamente ha assunto, oppure come astrazione delle caratteristiche riconoscibili nei vari pensatori, nelle idee politiche e nei movimenti, caratteristiche che sono riconducibili sempre al rigoroso rispetto dei diritti e delle sfere individuali da parte dei pubblici poteri e della libertà di esprimere le proprie opinioni e di organizzarsi in associazioni per farle diventare realtà. In tal senso il liberalismo, al di là delle varie espressioni storiche, si potrebbe dire che sia un “tipo ideale” secondo il significato che a questo concetto ha attribuito Max Weber: “l’accentuazione di uno o alcuni punti di vista, e mediante la connessione di una quantità di fenomeni particolari diffusi e discreti, esistenti qui in maggiore là in minore misura, e talvolta anche assenti, corrispondenti a quei punti di vista unilateralmente posti in luce, in un quadro concettuale in sé unitario”[1]. I fenomeni e i punti di vista che individuano questo “tipo ideale” sono quelli indicati riguardanti le libertà individuali e il rispetto dei diritti, rispetto a questi punti di vista una politica, un pensatore può essere definita più o meno liberale, considerando che la democrazia come metodo non è per forza di cose una democrazia liberale, quindi per parlare di liberal democrazia bisogna che gli aspetti riconoscibili del liberalismo siano affermati.

Nella connessione tra liberalismo e giusnaturalismo il richiamo di Norberto Bobbio ai principi filosofici che possono ispirare il pensiero liberale, consente, attraverso un approfondimento dell’idea di razionalità, di valutare una prospettiva più aperta rispetto a quella dei cosiddetti diritti naturali precedenti alla nascita dello Stato considerato frutto di accordo tra gli uomini. Per Bobbio, infatti, bisogna porre l’accento sul fatto che il liberalismo è espressione dell’individualismo razionalistico, quindi inconcepibile al di fuori della società moderna e del pensiero scientifico da cui questa è scaturita; un individualismo razionalistico “proprio della filosofia illuministica, per il quale l’uomo in quanto essere razionale è persona e ha un valore assoluto, prima e indipendentemente dai rapporti di interazione coi suoi simili. Come persona, il singolo è superiore a qualsiasi società di cui entra a far parte, e lo Stato, a sua volta, è soltanto un prodotto dell’uomo (in quanto sorge da un accordo o da un contratto fra gli uomini stessi), e non è mai una persona reale, bensì solo una somma di individui aventi ciascuno la propria sfera di libertà.” Il razionalismo in senso classico può trasformarsi, rispetto ai diritti naturali e al valore assoluto della persona, in una forma subdola di metafisica che considera l’oggettività come qualcosa di dato una volta per tutte in modo indipendente dall’osservatore. La conoscenza non sarebbe che una approssimazione sempre maggiore verso questo mondo oggettivo, fisico in cui l’attività svolta dal soggetto conoscente e dalla sua ricerca risulta priva di ogni responsabilità e valore in senso umano ed etico, come se fosse possibile guardare l’universo “sbirciando attraverso il buco della serratura”, come è stato detto, oppure, come si potrebbe dire oggi, affidandosi alla fantascienza, restando seduti comodamente alla propria poltrona guardano il mondo dalla finestra simulata di un calcolatore come potrebbe fare un osservatore di un mondo alieno. Watzlawick definisce questo atteggiamento verso la conoscenza come "realismo metafisico". Un limite, quello razionalista giusnaturalista, che pesa anche nella idea i “posizione originaria” di John Rawls.

Tuttavia, l'osservatore è parte dell'universo che osserva e cambia insieme ad esso (Bateson: "la struttura che connette tutte le strutture viventi"), il che rende impossibile un tale punto di osservazione. L'oggettività intesa dal punto di vista della cibernetica di primo ordine è falsata dall'illusione di considerarsi esterni al sistema osservato. In tal senso, von Foerster afferma che "l'oggettività è l'illusione che si possano fare osservazioni senza un osservatore". Chi adotta questa dottrina dell'oggettività si sente esentato dal dover assumersi le proprie responsabilità rispetto alle proprie osservazioni, in quanto ritiene che sia la realtà ad esprimere sé stessa. Von Foerster aggiunge quindi a complemento dell'oggettività anche l'etica che deriva dal fatto di doversi assumere la responsabilità per le proprie osservazioni, per la realtà che si contribuisce a costruire, da qui anche l'imperativo etico di operare per contribuire ad accrescere le possibilità di scelta, quindi di apertura, piuttosto che chiuderle con verità "oggettive", in un sistema in cui l'oggettività assume una dimensione metafisica: "agisci sempre in modo da accrescere il numero delle possibilità di scelta"

Il concetto di realtà su esposto si sviluppa in biologia nel tentativo di un superamento della dicotomia tra scienze umane e scienze empiriche. Mentre avvicina la riflessione epistemologica alla teoria fenomenologica che vuole che la realtà non sia da considerare un dominio indipendente dall'osservatore, per cui l'oggettività deve essere messa tra parentesi con la sospensione del giudizio su di essa.

Nella ricerca delle origini filosofiche del costruttivismo, il filosofo irlandese Giovanni Scoto Eriugena formula una analogia che secondo von Glasersfeld può essere considerata il manifesto del costruttivismo radicale contemporaneo: “Proprio come l’artista esperto estrae la sua arte da sé stesso e dentro sé stesso e in essa prevede le cose che deve fare, […] così l’intelletto genera da sé stesso e dentro sé stesso la sua ragione, nella quale conosce in anticipo e precrea causativamente tutte le cose che desidera fare.”[2] (Periphyseon)

Tra i precursori del costruttivismo c’è certamente Kant che riteneva che la realtà così com’è (noumeno – cosa in sé) non sia conoscibile. Mentre ciò che conosciamo, il fenomeno, ci appare attraverso le forme a priori della conoscenza. Quindi l’ordine oggettivo della natura non è che il prodotto dell’interazione della mente con ciò che si trova fuori di essa; pertanto, oggettivo vuol dire “intersoggettivamente valido”.

Aron sicuramente non può essere definito costruttivista. Ma nei termini in cui si pone l’oggettività nella teoria costruttivista sicuramente non è estranea all’esperienza di Aron che perviene ad una definizione della realtà sociale e storica attraverso una lunga riflessione giovanile sull’esistenzialismo bergsoniano e la fenomenologia filtrati successivamente dall’interesse verso le teorie di Max Weber.



[1] Max Weber, Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, Torino 1959, p.108 (in Bedeschi).

[2]   Cit. in Gabriele Chiari, Il costruttivismo in psicologia e in psicoterapia, Raffaello Cortina Editore, Milano 2016, p. 79.


Perché non possiamo non dirci liberali. Il liberalismo critico di Raymond Aron.

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