lunedì 30 aprile 2018

Prudentia. Ovvero, Razionalismo critico & Passione della ragione


Prudentia, cioè la saggezza, è la quarta delle virtù liberali. Nel trattare questa virtù, Dahrendorf mostra quanto, la sua proposta di “politica della libertà”, deve alla concezione popperiana di ragione.
In senso popperiano la ragione non è una facoltà umana. Noi non la possediamo come un organo del corpo o le capacità della mente. La ragione, dice Dahrendorf, citando Popper, «è piuttosto “un atteggiamento di disponibilità a prestare ascolto ad argomenti critici e ad imparare dall’esperienza… si può dire che la ragione, come il linguaggio, è un prodotto della vita sociale.”»[1]
In tale senso per Popper il razionalismo “è un atteggiamento che cerca di risolvere il maggior numero possibile di problemi mediante un appello alla ragione, cioè al pensiero chiaro e all’esperienza.”[2] Secondo Dahrendorf ciò vuol dire che, per Popper, la ragione non coincide con quella che viene considerata l’intelligenza. Gli esseri umani possono essere più o meno intelligenti in modo diseguale, ma la ragione invece è ripartita in modo eguale in quanto essa non appartiene alla natura degli uomini ma è per l’appunto un prodotto della vita sociale degli uomini e subisce la medesima sorte che subisce il linguaggio che muta e si sviluppa insieme col mutamento e l’evolversi delle società. Il concetto di ragione non è molto lontano da ciò che nel mondo anglosassone viene definito common sense. Ragione assume il significato di ragionevolezza e abitudine alla critica insieme all’arte di prestare ascolto alla critica che, in forma di argomentazione, si può chiamare razionalismo.
Per questa forma di razionalismo non esiste alcuna cogenza, o meglio non esiste alcun argomento che razionalmente possa portare a preferirlo ad altre forme di “razionalismo” o “irrazionalismo”, infatti se si potesse dare un tale argomento saremmo nel pieno di una incoerenza.
E allora secondo quali argomentazioni dobbiamo ritenere che il razionalismo proposto da Popper sia da preferire evitando al contempo di cadere in un mondo auto contraddittorio che per affermarsi nega le premesse su cui si dovrebbe al contrario fondare?
Non può esistere un argomento fondato sulla ragionevolezza per affermare la preferenza per ragionevolezza. Di fatto «quello che distingue il razionalista è una irrazionale convinzione che può essere descritta come “fede nella ragione”. Una simile “forma di razionalismo critico che riconosce il fatto che il fondamentale atteggiamento razionalistico scaturisce… da una decisione irrazionale” è un’opzione, una “decisione morale”».
Quindi, conclude Dahrendorf nella sua esplicazione del razionalismo popperiano, «bisogna arrivare ad una decisione morale. “è la decisione di legarsi alla ragione”»[4] Soltanto così è possibile assumere l’istanza razionalista facendo salva la libertà: la decisione morale di assumere l’atteggiamento del razionalista mantiene il razionalismo in un ambito di ragionevolezza e di criticità nei termini di capacità di mettere in “crisi” le proprie ragioni attraverso la capacità di “apprendere” dalla verifica empirica, dalla negazione e quindi da un atteggiamento di apertura. È per questo che quello di Popper non è semplice razionalismo, ma “razionalismo critico”.
Razionalismo critico, che come prospettato da Dahrendorf presenta un atteggiamento comune in Popper con Aron di fronte al problema della libertà e della storia.[5]
Popper, come Aron e Berlin, è convinto che la ragione non è tutto, bisogna ammettere una sfera di “irrazionalismo consentito” all’interno del quale ricade ciò che si sottrae alla ragione e a quel mondo che da essa può essere dominato. Tuttavia, per il razionalismo critico esiste la necessità di andare oltre al fatto che si tratti di una questione di fede: fede nella ragione o fede nelle passioni. L’irrazionalismo sarebbe, in questo quadro conflittuale, dalla parte delle passioni, mentre il razionalismo sarebbe dalla parte della ragione. La debolezza principale del liberalismo classico è di essere nato da questa dicotomia che lo vuole freddo e razionale come la decisione economica. Mentre dall’altro lato le passioni non ascoltano la ragione e la mettono da parte.
Ma se anche la ragione può essere considerata sotto una forma di dedizione, in quanto non accetta di essere messa da parte dalle passioni, allora esiste anche, probabilmente, una sorta di “passione della ragione”.
In che modo però la passione e la ragione possono essere tenute insieme. È la domanda di Weber quando pensava alla Politica come professione. La politica è fatta con la testa, è quindi un prodotto della ragione e del ragionamento razionale, ma l’agire umano può essere dispensato e generato soltanto da una forte passione. Questa forma di ragione appassionata certamente come esercizio per le virtù della libertà. Si tratta però di una ragione temperata, il cui gridare può essere soffocato dal rumore generale ma rimane pur sempre «un impulso appassionato a praticare le virtù che proteggono dal totalitarismo.»[6] Anche se Popper trascura l’analisi delle passioni di Hume è tuttavia dal suo pensiero che si può avere una risposta alla dicotomia passione – ragione, nel semplice saper cogliere la passione della ragione che scaturisce da quella passione che è la gioia e la speranza e soprattutto la curiosità e l’amore per la verità. Elementi da cui soltanto la ragione può trarre la sua forza.



[1] Ralf Dahrendorf, Erasmiani. Gli intellettuali alla prova del totalitarismo. Laterza Bari 2007, p. 68.
[2] Popper in Dahrendorf.
[4] Ibidem, p. 69.
[5] J. Ralws nella nuova ridefinizione dei principi della Teoria della Giustizia, apre ad una posizione morale rispetto alla valutazione dei principi fondamentali portando maggiormente in secondo piano il discorso razionale rispetto alle possibilità prospettate attraverso la ragionevolezza.
[6] Ibidem, p.  73

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Perché non possiamo non dirci liberali. Il liberalismo critico di Raymond Aron.

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