martedì 15 maggio 2018

Fortitudo, ovvero la libertà e autonomia di pensiero degli erasmiani


Fortitudo, il coraggio. Nel nostro contesto si tratta di una qualità intellettuale, e non della natura di essere pronti ad affrontare il rischio. Si tratta del coraggio della «lotta individuale per la verità», cioè il coraggio di sostenere le proprie opinioni in un ambiente estraneo o addirittura ostile.
Il saggio di Dahrendorf ha per oggetto il ruolo degli intellettuali, una riflessione dibattuta da almeno due secoli, e che nel saggio assume una direzione alternativa rispetto alle antinomie con cui si è posta nelle diverse fasi, in particolare quella tra “chierici” e “laici” di Julien Benda oppure di “intellettuali rivoluzionari” e “intellettuali puri” di Norberto Bobbio.
Forse quella di Dahrendorf rappresenta più un ritorno all’origine della disputa rispetto alla manifestazione di indipendenza e di libertà di pensiero, e in ogni caso una posizione che risulta alternativa anche alla contrapposizione rispetto ai temi del progresso letto attraverso il conflitto tra cultura e sviluppo della tecnica, tra “Apocalittici” e “Integrati”.
Sicuramente gli erasmiani non sono “apocalittici” nel loro ottimismo per le sorti dell’umanità, a favore delle conquiste del progresso e della modernità, come per altro Erasmo già precursore dell’Illuminismo. Tanto meno gli erasmiani si possono considerare semplicemente “integrati” rispetto ai problemi aperti con la società di massa e i fenomeni di omologazione culturale e di giudizio che si affermano attraverso il predominio dei mass media. Al contrario sono proprio gli intellettuali erasmiani che rimarcano la necessità di promuovere e di rendere solida nelle istituzioni della società, a partire da quelle politiche e culturali, l’autonomia e la libertà nell’espressione di giudizio.
La fortitudo è quindi una virtù di cui, oggi, si coglie tanto più il valore e la necessità rispetto alle insidie della manipolazione della informazione e delle opinioni. Anche in questo caso è Popper, profeta del pensiero scientifico, del progresso e dell’indipendenza di giudizio che richiede l’esercizio della libertà.
La fortitudo, pertanto, è un coraggio che riguarda l’attività intellettuale come libertà di esprimere e sostenere le proprie opinioni.
Riguarda quindi il coraggio di proporre le proprie concezioni, anche nella più totale solitudine, svolgendo in maniera personale la propria attività di pensiero. Il coraggio di resistere al conformismo. Il coraggio di accettare, come prezzo della libertà, anche l’isolamento.
Si tratta di un coraggio che proviene dal bisogno di indipendenza intellettuale. Un coraggio che però non pretende il martirio, perché allora non sarebbe più il coraggio della libertà, ma una altra forma di fanatismo. Infatti, la virtù della fortitudo è ben diversa dal coraggio dei martiri: «parlando di coraggio - dice Dahrendorf - non intendiamo martirio. I martiri, non c’è dubbio, dimostrano un coraggio particolare, quando affrontano il sacrificio estremo per la loro causa. Essi … qualificano la loro causa come verità … certezza, che le persone … [ispirate dalle virtù della libertà] non hanno mai preteso di avere.» Quindi la fortitudo è il coraggio che diventa forza nella consapevolezza dell’incertezza e del dubbio, che rende possibile l’indipendenza di pensiero nel momento in cui fa propria l’indipendenza e la l’autonomia dell’altro e del diverso; forza che si legittima nell’apertura e nella disponibilità alla prova della falsificazione.
Le virtù della libertà impongono una determinazione che sia sempre congiunta con una disponibilità all’autocritica che salva il pensiero dalla cecità ideologica.
È preponderante ancora la lezione di Popper: «I combattenti individuali per la libertà … sanno che non troveranno la verità. Essi non annunciano neanche una verità, ma ne sono alla sua ricerca … entro un orizzonte di incertezza. Trova qui posto l’insistenza di Popper sul tentativo ed errore come destino dello scienziato».
Lo stesso destino deve valere ancor più per l’esperienza politica liberale.  Questo tipo di impresa è per sua natura solitaria anche quando viene condotta e condivisa con altri. Per gli intellettuali che si occupano di politica ciò vale in misura ancora maggiore, perché ciò vuol dire riuscire a rimanere indipendente nei giudizi. «L’intellettuale ha bisogno a questo scopo di un’altra cosa che, più ancora della solitudine, definisce la sua condizione di vita, e cioè dell’indipendenza»[1], che si realizza nella virtù della fortitudo.


[1]                 Ralf Dahrendorf, Erasmiani. Gli intellettuali alla prova del totalitarismo. Laterza Bari 2007.

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