Fortitudo, il
coraggio. Nel nostro contesto si tratta di una qualità intellettuale, e non
della natura di essere pronti ad affrontare il rischio. Si tratta del coraggio
della «lotta individuale per la verità», cioè il coraggio di sostenere le
proprie opinioni in un ambiente estraneo o addirittura ostile.
Il saggio di Dahrendorf ha per
oggetto il ruolo degli intellettuali, una riflessione dibattuta da almeno due
secoli, e che nel saggio assume una direzione alternativa rispetto alle
antinomie con cui si è posta nelle diverse fasi, in particolare quella tra
“chierici” e “laici” di Julien Benda oppure di “intellettuali rivoluzionari” e
“intellettuali puri” di Norberto Bobbio.
Forse quella di Dahrendorf
rappresenta più un ritorno all’origine della disputa rispetto alla
manifestazione di indipendenza e di libertà di pensiero, e in ogni caso una
posizione che risulta alternativa anche alla contrapposizione rispetto ai temi
del progresso letto attraverso il conflitto tra cultura e sviluppo della
tecnica, tra “Apocalittici” e “Integrati”.
Sicuramente gli erasmiani non sono
“apocalittici” nel loro ottimismo per le sorti dell’umanità, a favore delle conquiste
del progresso e della modernità, come per altro Erasmo già precursore
dell’Illuminismo. Tanto meno gli erasmiani si possono considerare semplicemente
“integrati” rispetto ai problemi aperti con la società di massa e i fenomeni di
omologazione culturale e di giudizio che si affermano attraverso il predominio
dei mass media. Al contrario sono proprio gli intellettuali erasmiani che rimarcano
la necessità di promuovere e di rendere solida nelle istituzioni della società,
a partire da quelle politiche e culturali, l’autonomia e la libertà
nell’espressione di giudizio.
La fortitudo è quindi una
virtù di cui, oggi, si coglie tanto più il valore e la necessità rispetto alle
insidie della manipolazione della informazione e delle opinioni. Anche in
questo caso è Popper, profeta del pensiero scientifico, del progresso e
dell’indipendenza di giudizio che richiede l’esercizio della libertà.
La fortitudo, pertanto, è un coraggio che riguarda l’attività
intellettuale come libertà di esprimere e sostenere le proprie opinioni.
Riguarda quindi il coraggio di
proporre le proprie concezioni, anche nella più totale solitudine, svolgendo in
maniera personale la propria attività di pensiero. Il coraggio di resistere al
conformismo. Il coraggio di accettare, come prezzo della libertà, anche l’isolamento.
Si tratta di un coraggio che
proviene dal bisogno di indipendenza intellettuale. Un coraggio che però non
pretende il martirio, perché allora non sarebbe più il coraggio della libertà,
ma una altra forma di fanatismo. Infatti, la virtù della fortitudo è ben diversa dal coraggio dei martiri: «parlando di
coraggio - dice Dahrendorf - non intendiamo martirio. I martiri, non c’è
dubbio, dimostrano un coraggio particolare, quando affrontano il sacrificio
estremo per la loro causa. Essi … qualificano la loro causa come verità …
certezza, che le persone … [ispirate dalle virtù della libertà] non hanno mai
preteso di avere.» Quindi la fortitudo
è il coraggio che diventa forza nella consapevolezza dell’incertezza e del
dubbio, che rende possibile l’indipendenza di pensiero nel momento in cui fa
propria l’indipendenza e la l’autonomia dell’altro e del diverso; forza che si
legittima nell’apertura e nella disponibilità alla prova della falsificazione.
Le virtù della libertà impongono
una determinazione che sia sempre congiunta con una disponibilità
all’autocritica che salva il pensiero dalla cecità ideologica.
È preponderante ancora la
lezione di Popper: «I combattenti individuali per la libertà … sanno che non
troveranno la verità. Essi non annunciano neanche una verità, ma ne sono
alla sua ricerca … entro un orizzonte di incertezza. Trova qui posto
l’insistenza di Popper sul tentativo ed errore come destino dello scienziato».
Lo stesso destino deve valere ancor
più per l’esperienza politica liberale. Questo
tipo di impresa è per sua natura solitaria anche quando viene condotta e
condivisa con altri. Per gli intellettuali che si occupano di politica ciò vale
in misura ancora maggiore, perché ciò vuol dire riuscire a rimanere
indipendente nei giudizi. «L’intellettuale ha bisogno a questo scopo di
un’altra cosa che, più ancora della solitudine, definisce la sua condizione di
vita, e cioè dell’indipendenza»[1],
che si realizza nella virtù della fortitudo.
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