lunedì 7 maggio 2018

Ralf Dahrendorf. La Giustizia nasce dal conflitto

Iustitia. «Col termine giustizia noi indichiamo oggi soprattutto un determinato ordine della società visto come una stella polare del comportamento. … In una interpretazione più antica giustizia era anche il senso del corretto ordine delle cose umane.»[1] Un ordine «che poteva essere, ma non era necessariamente».

Dahrendorf non immagina una giustizia quale ricomposizione platonica dei conflitti in una armonia universale sotto la guida di un re filosofo. Preferisce piuttosto una versione precedente del mondo e delle cose umane, presocratica, che considera il conflitto quale principio generatore di tutte le cose, dove, così per dire, Dahrendorf si schiererebbe dalla parte di Eraclito, secondo cui la realtà non è mai per più di una volta uguale a sé stessa e che quindi tutto cambia e si muove senza principio né fine; ma contro il Parmenide dell’”essere” unico ingenerato ed eternamente uguale a sé stesso.

In questa scelta di Dahrendorf c’è anche tanto di Popper e della prospettiva di una società aperta per la quale presupposto della giustizia, e della società giusta, è l’accettazione del conflitto: «con giustizia intendiamo qui appunto la consapevolezza che nel convivere umano ci sono contrasti e contraddizioni che non possono essere eliminati, ma devono essere sopportati in maniera conveniente».

Questa idea rimanda alla considerazione che nella riflessione sulla società giusta bisogna partire dalla presa d’atto dell’esistenza di un profondo antagonismo che interagisce con le libertà di cui parla Berlin e al «quale – dice Dahrendorf – la dottrina delle virtù qui abbozzata cerca una risposta univoca».

La riflessione sugli erasmiani si sviluppa all’interno di una prospettiva che considera la dottrina delle virtù quale risposta alle contraddizioni e alle dicotomie che emergono nel rapporto tra la libertà e una società giusta. Il problema, classico della sinistra, ad esempio, del rapporto tra libertà ed eguaglianza è parte di questo conflitto; lo stesso per il problema della crescita e la distribuzione della ricchezza.

Libertà e giustizia rappresentano il cuore del conflitto sociale rispetto alle dinamiche dello sviluppo e della dell’economia e dei diritti. Infatti, per Dahrendorf il conflitto, regolamentato dallo Stato liberale e democratico, si pone al centro della dinamica sociale nel modo moderno: «Il conflitto regolamentato è la fonte del nuovo, e del fatto che il nuovo venga cercato, provato, trovato temporaneamente buono, poi migliorato con qualcos’altro, ed eventualmente anche sostituito».

Nasce così la reale speranza per gli uomini di aumentare le proprie chances di vita, quindi il miglioramento delle proprie condizioni e il raggiungimento di più avanzati traguardi di civiltà anche attraverso il progresso della scienza e della tecnica. Questo conflitto generale, questa contrapposizione che, si potrebbe dire, dialettica «trova nell’ordinamento liberale non soltanto la sua regolamentazione, ma anche la sua trasformazione da forza distruttiva a forza produttiva, creatrice.»

Nell’idea che la vicenda umana si realizzi su di un fondamento che detiene il conflitto quale nucleo centrale del proprio motore generatore, Dahrendorf si ritrova con i presocratici alla ricerca di un Arché che giustifichi la natura del mondo. Dahrendorf ritrova il suo Arché schierandosi dalla parte di Eraclito che considera il conflitto padre dio ogni cosa, un conflitto che non va confuso con l’idea hobbesiana della guerra di tutti contro tutti.

Ma non tutti i conflitti arrivano ad una composizione, se non in modo temporaneo. In ogni società umana ci sono state e continueranno ad esserci «contraddizioni che non si possono sciogliere». Valori inconciliabili, conflitti sociali che nessuna sintesi può immaginare di eliminare, contraddizioni per le quali non si ha alcuna risoluzione perfetta «nemmeno nella costituzione giusta, ma solo un “avvicinamento a questa idea” di giusto».

Infatti, la giustizia e il bene non sono nella natura delle cose e tanto meno nella natura umana poiché la natura umana è quella di essere, come diceva Kant, un legno così storto che sarebbe impensabile che da essa si possa ricavare qualcosa di perfettamente dritto. Ci si può invece approssimare a questa idea del giusto in un perenne movimento di ricomposizione e di nuovo conflitto, di fatto non esiste società umana senza conflitto; e, se esistesse, con la soppressione del conflitto, sarebbero distrutti i valori umani più importanti.

La risposta non è quindi nella ricerca dell’unanimità nella scelta e nella ricerca delle soluzioni dei problemi, come vuole la teoria contrattualista di Rousseau che considera la società come un patto formulato dalla volontà generale. «La volontà generale di Rousseau è una costruzione rischiosa, perché implica concordanza di voci dove invece c’è, per la natura delle cose, molteplicità di voci.» Rousseau risolve di fatto la dicotomia tra eguaglianza e libertà attraverso la netta soppressione della prima, dando vita ad un paradosso che nega entrambe.

Ancor più insidiosa e minacciosa per la libertà umana appare la posizione di Hegel il quale vuole affermare e riconoscere l’esistenza di una volontà oggettiva che “è il razionale in sé nel suo concetto” sia che esso venga conosciuto e voluto dai singoli oppure no. Questo schema propone una oggettivazione della ragione che è stata la tentazione dei partiti politici che evocato a sé stessi questa ragione oggettivata tanto da considerare superfluo il consenso e la volontà libera dei singoli individui. I totalitarismi europei hanno in qualche modo portato a sintesi teorie simili a queste.

Bisogna dissuadere l’uomo dalla ricerca di una società umana senza conflitto, tanto più dissuadere dal tentativo di realizzarla. La risposta non è, dunque, la ricerca dell’unanimità e ancor meno di una superiore verità “oggettiva”, ma la realizzazione di istituzioni che permettano di sostenere i contrasti senza annullare le libertà fondamentali».

La costituzione giusta, nel senso di Kant, è nell’ordinamento liberale, nella signoria del diritto e della democrazia politica. È l’ordine che può essere riconosciuto come appropriato al legno curvo della natura umana. Un ordine che mira alla virtù, «virtù che è una protezione nei confronti delle sollecitazioni e delle tentazioni del totalitarismo.» Un ordine che regolamenta il conflitto generale ed è in grado di trasformarlo da forza distruttiva in forza produttiva e creatrice. «Kant ne era consapevole. Per lui il conflitto domato è la fonte del progresso.»

Quindi progresso, chances di vita e conflitto sono aspetti imprescindibili per una società giusta.





[1]      Le citazioni sono tratte da Ralf Dahrendorf, Erasmiani. Gli intellettuali alla prova del totalitarismo. Laterza Bari 2007. Ovviamente Dahrendorf non è un costruttivista, come altri esponenti del pensiero politico e sociologico citati in questo blog, La volontà sincretica tuttavia ci consente ad usare alcune idee in chiave costruttivista.

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