Due concezioni della realtà che presentano importanti risvolti etici nell’idea di responsabilità che implicano un profondo interesse per le pratiche di vita che possono migliorare la condizione umana, dalla sofferenza individuale a quella sociale, dall’educazione alla ricerca. Un interesse che si traduce in una condotta etica, definita come responsabilità relazionale improntata all’apertura verso il mondo, alla collaborazione, al rispetto dell’altro
"Le idee sbagliate scaturiscono dal nostro sentimento
di un'intrinseca esistenza di sé. A causa di questo noi ignoriamo gli altri...
Questo è dovuto al fraintendimento del sé. È come avere un diabolico assassino
dentro di noi. Il pensiero sé-centrico porta con sé il desiderio, l'avversione
e l'ignoranza, è come un ladro che ci defrauda del nostro raccolto di virtù.
I semi della coscienza sono piantati nei campi dell'azione.
Questi sono irrigati ripetutamente dalle acque del desiderio e della bramosia
da quel contadino che in noi coltiva i germogli degli stati di rinascita. Anche
questo è causato dal nostro atteggiamento sé-centrico." (Dalai Lama)
"A causa del sé-centrismo che è in noi, siamo rimasti
nudi, a mani vuote e indolenti. Ovunque ci troviamo nel ciclo dell’esistenza,
siamo assaliti dalla sofferenza. Chiunque frequentiamo è un amico della
sofferenza. Qualsiasi cosa di cui godiamo è un oggetto di angoscia. … Non
sapendo ciò che è positivo e ciò che non lo è, nutriamo inutili dubbi e
aspettative a causa del nostro sé-centrismo.”
"come un cavallo senza briglie, le nostre emozioni
perturbatrici ci fanno perdere il controllo, tutto a causa del nostro
atteggiamento sé-centrico." (Dalai Lama)
“Il sé-centrismo è la fonte della nostra paura … il sé
centrismo è la fonte di tutte le colpe.”
“Tutte le nostre sventure scaturiscono dalla nostra mente
indisciplinata. La mente è sregolata a causa del nostro sé-centrismo. … Il
sé-centrismo genera una miriade di emozioni come speranza e ansia a causa delle
quali andiamo incontro a fallimenti e calamità. Normalmente puntiamo il dito
sugli altri, incolpandoli di tutto ciò che non funziona. Ma la radice del
problema, la fonte di tutti i guai, l’origine degli inauspicabili e cattivi
segni è l’atteggiamento sé-centrico che risiede indisturbato nei nostri cuori.”
“La bramosia e l’odio … scaturiscono da una percezione
esagerata di noi stessi come entità indipendenti, mentre, di fatto, dipendiamo
da un gran numero di variabili passate e presenti.”[1]
“Quando arrivi all'errata conclusione di esistere come
un’entità pienamente indipendente (anziché come un’entità interrelata con gli
altri e con le cose), se portato a stabilire una distinzione artificiale tra te
e gli altri. A sua volta, questa conclusione favorisce l’attaccamento a tutto
ciò che sembra stare dalla nostra parte e la resistenza nei confronti di tutto
ciò che sembra stare dalla parte degli altri. Questa forma di attaccamento
ingigantisce l’importanza delle tue caratteristiche personali, quali l’aspetto
fisico, l’origine etnica, la ricchezza, l’educazione o la fama, e spalanca la
porta all’orgoglio.”[2]
Questa considerazione del Dalai Lama è quanto di più
prossimo e concomitante vi possa essere nella concezione buddhista del “sé”,
con la concezione costruttivista. Bisogna mettere tra parentesi l’aspetto
religioso se questo è finalizzato ad una costruzione ontologica delle istanze
trattate, infatti ciò condurrebbe alla formulazione di una metafisica che
informa la realtà ad una rigida concezione del mondo e della mente. Ma se
invece si considera quanto affermato dal Dalai Lama come manifestazione
dell’esistenza mentale del “sé”, esistenza che non può essere
considerata se non in forma di una interrelazione col l’”altro” e il
mondo delle cose, una interrelazione che precede la formazione della coscienza
e la rende possibile nella costruzione del linguaggio e della consapevolezza
stessa che si realizza attraverso l’atto di intenzionale con cui il sé
prende di mira la realtà oggettiva e l’altro; allora, se trasliamo la
concezione buddhista nell’ambito del cognitivismo costruttivista, abbiamo un
modalità per considerare l’intreccio che forma e modella la personalità e la
coscienza attraverso il condizionamento e lo sviluppo delle emozioni che vanno
a strutturare il carattere e la nostra persona, cioè la “maschera”
con la quale il sé si presenta agli altri e al mondo.
Inoltre, questo modo di considerare la l’origine delle
emozioni negative, consente di definire quell’elemento che manca per prendere
considerazione una un migliore approfondimento degli aspetti della
comunicazione nei conflitti per valutare la spirale delle emozioni negative che
portano all’escalation della violenza.
La meditazione del Dalai Lama è in questo caso rivolta
all’origine delle “passioni tristi” e della violenza: “Sia la bramosia sia
l’odio arrivano da un errore sistematico; entrambi si sviluppano sulla base di
un’esagerazione della natura delle cose che va ben al di là di ciò che esse
effettivamente sono. Tale errore genera tutte le altre emozioni perturbanti.”[3]
Le emozioni che si generano sulla base di questo errore
sistematico, dice il Dalai Lama, errore cognitivo, diremmo, pensando al
punto di vista costruttivista, che riguarda il sé-centrismo condizionano
le nostre relazioni creando una contrapposizione artificiosa e una dinamica di
conflitto permanente tra il sé e il mondo circostante sviluppando la triste
passione della “rabbia”. Infatti, dice il Dala Lama, “là dove c’è un “io” c’è
anche un “tu”. Alla discriminazione fa seguito l’attaccamento al nostro
sé e la rabbia nei confronti dell’altro, poiché ci arrabbiamo con ciò che
frustra i nostri desideri. La rabbia è fomentata dalla convinzione erronea che
noi e l’oggetto della nostra rabbia siamo per natura in una relazione di vittima
e nemico. Quando ci arrabbiamo, l’oggetto della nostra natura appare di gran
lunga più spaventoso di quanto sia in realtà.”[4]
Per quanto riguarda il condizionamento e il danno morale
causato dall'attaccamento, anche la dottrina cristiana, in particolare nella
teologia di Meister Eckhart appare concordante con quella buddhista nella
ricerca di una dimensione morale nella relazione col mondo improntata alla
ricerca di una beatitudine fondata sul distacco e l’assenza del “desiderio”
considerato origine della negatività. La teologia cristiana da Eckhart ad
Erasmo sembra promuovere una idea di saggezza e che nasce, attraverso la
meditazione e la riflessione sui desideri e sulle passioni, dalla forza delle
emozioni positive considerate generatrici di valori morali ed etici che
promuovono la similitudine tra l’uomo e Dio considerato come sommo bene.
“Quando ci imbattiamo per la prima volta in qualcuno o
qualcosa di piacevole, ne prendiamo rapidamente nota, riconoscendo la sua
presenza … l’attrattiva che l’oggetto esercita sembra parte integrante
dell’oggetto stesso, e non un valore attribuito da noi”. La posizione del Dalai
Lama è prossima al costruttivismo: la mente attribuisce valore alla realtà in
modo indipendente dai fatti. Questo valore corrisponde con le aspettative che,
se positive, suscitano emozioni positive come, se negative, oltre che già
essere condizionate da emozioni negative quali ansia e paura, suscitano e
rafforzano le emozioni negative diventando fonte di frustrazione e rabbia. La
capacità di attenersi ad una valutazione “neutrale” dei fatti è funzionale alla
capacità di valutazione e ponderazione delle emozioni che, in un primo
approccio, suscita un oggetto o una situazione. E così di seguito il Dalai Lama
“quando la mente aderisce in questo modo a un oggetto – come se la sua essenza
coincidesse con la sua apparenza – , può sorgere una forte bramosia nei suoi
confronti, e un odio nei confronti di tutto ciò che interferisce con la
possibilità di impossessarsene. Ha preso piede un errore sostanziale riguardo
alla natura delle cose e, a mano a mano che l’illusione dell’esistenza
indipendente dell’oggetto si consolida, i veleni delle emozioni distorte
cominciano a fare il loro effetto”[5].
Quindi il presupposto di una natura indipendente, il realismo metafisico della vita quotidiana, del senso comune e dell’opinione
comune, come direbbe Watzlawick, sono la condizione che rende potente il
“veleno delle emozioni distorte”.
Il “realismo metafisico” nasce dalla pi radicata tra le
teorie della conoscenza, tanto che, come dice Hilary Putnam, i filosofi per due
millenni avrebbero discusso soltanto su ciò
che esiste realmente e sarebbero tutti stati d’accordo su un concetto di realtà che tutti intendevano collegato
con il concetto di validità oggettiva,
tanto che il concetto di verità si fa
coincidere con quello di oggettività
e il problema del sapere diventa il problema della verità. Realista metafisico
è quindi “chiunque sostenga che possiamo chiamare verità solo ciò che è in
accordo con una realtà oggettiva concepita come assolutamente indipendente.”[6]
A fronte di una concezione che considera la conoscenza come
corrispondenza di una realtà di per sé esistente “il tratto fondamentale dell’epistemologia
costruttivista – e cioè che il mondo, che in tal modo viene costruito, è un
mondo dell’esperienza che consiste in esperienza vissuta e non ha nessuna pretesa
di verità nel senso di consonanza con una realtà ontologica.” Una posizione in
cui Giambattista Vico si incontra con Kant: “la natura … è l’insieme di tutti
gli oggetti dell’esperienza”. Una concezione che supera l’oggettivismo come il
suo opposto, lo scetticismo e spiega come sia possibile sperimentare un mondo
relativamente stabile e attendibile pur non potendo attribuire con sicurezza
alla realtà oggettiva stabilità, regolarità o una qualsiasi qualità percepita
considerando che il mondo di cui facciamo esperienza e che conosciamo, viene
necessariamente costruito da noi stessi. Per questo non ci si deve sorprendere
se esso ci appare come relativamente stabile. [7]
“La teoria della conoscenza diventa così l’esame del modo in cui l’intelletto
opera per costruire il mondo in qualche misura durevole e regolare partendo dal
flusso dell’esperienza.” La conoscenza è quindi anche un operare in quanto è l’agire
che la costruisce. Ed è, come dice Piaget, l’operare di quella istanza
cognitiva che organizza sé stessa e quindi il suo mondo dell’esperienza.[8]
Siamo di fronte a due tradizioni che sebbene siano distinte
temporalmente e culturalmente considerano “l’infondatezza, intesa come mancanza
di un fondamento assoluto, come la condizione stessa del mondo dell’esperienza
umana.”[9]
La “via di mezzo della conoscenza”, intesa come critica all’attaccamento e alla
ricerca di un fondamento ultimo sia che lo si cerchi all’esterno della mente
come fa l’assolutismo metafisico, che all’interno, come per il nichilismo;
questa “via di mezzo” sembra alludere alla concezione costruttivista della
conoscenza come concezione che trascende le concezioni realiste come pure quelle idealiste indicando “una rotta
che permetta di navigare indenni tra il vortice del solipsismo e il mostro del
rappresentazionismo.” (Maturana – Varela)[10].
Si tratta di affinità che oltre alla concezione del sé non fondazionale e stabile
ma che nasce dalla relazione in cui si forma lo stesso individuo. Una relazione
che vede l’esperienza come un flusso, il dharma, considerato come la più
piccola unità di esperienza che acquista significato nella rete di relazioni in
cui appare. Come nel costruttivismo quindi, la persona è la manifestazione di
un processo esteso di relazioni e non è mai un essere indipendente.
Una concezione presenta importanti risvolti etici nell’idea
di responsabilità che implica quindi, in entrambe le concezioni “un profondo
interesse per le pratiche di vita che possono migliorare la condizione umana,
dalla sofferenza individuale a quella sociale, dall’educazione alla ricerca; un
interesse che si traduce in una condotta etica, definita come “responsabilità
relazionale” … improntata all’apertura verso il mondo, alla collaborazione, al
rispetto dell’altro”.[11]
Infatti, è l’ignoranza responsabile dell’attaccamento, per
il pensiero buddhista. È l’ignoranza che alimenta la convinzione erronea sulla
positività o negatività intrinseca dell’oggetto che prendiamo in considerazione.
“Accettare questa falsa apparenza come un dato di fatto è – sostiene il Dalai Lama
– un atto di ignoranza e spiana la strada alla bramosia, all’odio e a una
miriade di altre emozioni controproducenti. Tali emozioni distruttive portano,
a loro volta, ad azioni fondate sulla bramosia e sull’odio. Queste azioni, che
alla fine provocherano sofferenza, non vengono viste per quello che realmente sono,
ma vengono scambiate per una via verso la felicità.”[12]
Il parallelo tra buddhismo e costruttivismo radicale diventa interessante anche per alcuni aspetti empirici, o meglio “pragmatici”, riguardanti la possibilità del trattamento della comunicazione nei conflitti. Infatti l’ignoranza che causa l’attaccamento può diventare presto conflitto e violenza. Infatti, dice il Dalai Lama, “fintanto che sono presenti la bramosia, l’odio, l’attaccamento, l’invidia o la confusione, ogni genere di azione nociva diventa possibile. Con questi presupposti, ciascuno di noi ha le potenzialità di fare il male, di commettere un crimine, persino un omicidio.” L’enfasi che alle relazioni aggiunge l’attaccamento fino alla promozione delle emozioni più distruttive: “ti arrabbi quando le persone non sono all’altezza delle tue aspettative” e attribuisci un eccesso di valore tanto ai nemici quanto agli amici. “Il problema è che spendiamo troppa energia in cose che sono altrettanto poco profonde delle banali faccende quotidiane. Ciò che è profondo perde terreno a vantaggio di ciò che è superficiale. Una volta che sei assorbito dai dettagli senza valore della vita, le emozioni affettive aumentano, e spingono a compiere altre azioni sbagliate. Le azioni controproducenti portano soltanto guai e, nella migliore delle ipotesi, mettono a disagio te e le persone che ti stanno intorno. Ti riempi sempre più di beni materiali, al punto che la pratica quotidiana si trasforma in devozione agli aspetti superficiali della vita, in cui coltiviamo desiderio per gli amici e odio per i nemici, e ci sforziamo di capire come comportarci in base a queste emozioni affettive”13
L'attribuzione di valori e qualità falsate dagli stati emotivo può essere contrastato attraverso la meditazione, o meglio, la riflessione: “il vantaggio dell’introspezione è quello di impedirci di attribuire ad un oggetto bontà o cattiveria oltre quelle che realmente sono presenti. Ciò consente di ridurre e forse, con il tempo di eliminare l’odio e la bramosia, poiché tali emozioni sono basate sull’esagerazione. E lascia alle emozioni e alle virtù lo spazio per svilupparsi”14
L'attribuzione di valori e qualità falsate dagli stati emotivo può essere contrastato attraverso la meditazione, o meglio, la riflessione: “il vantaggio dell’introspezione è quello di impedirci di attribuire ad un oggetto bontà o cattiveria oltre quelle che realmente sono presenti. Ciò consente di ridurre e forse, con il tempo di eliminare l’odio e la bramosia, poiché tali emozioni sono basate sull’esagerazione. E lascia alle emozioni e alle virtù lo spazio per svilupparsi”14
Le considerazioni del Dalai Lama mantengono una forte analogia con quelle che il pragmatismo di Watzlawick considera come veri loop delle relazioni umane. Paradossi della comunicazione che strutturano la relazione in modo tale che ogni pratica risolutoria finisce per confermare i problemi in quanto nella impossibilità di costituirsi su di un linguaggio che si ponga al di fuori del contesto relazionale e comunicativo e al di fuori dei codici emozionali. Il paradosso porta il soggetto a comportarsi come il famoso Barone di Münchhausen, che pensava di sollevarsi dalla palude prendendosi per il codino. La meditazione buddhista come la destrutturazione delle relazioni promossa dalle pratiche costruttiviste, inducono il soggetto a porsi all’esterno del loop comunicativo e relazionale.
“Se riteniamo che gli oggetti esistano in sé e per sé, anziché considerarli dipendenti da molte circostanze, come in realtà sono, si ha un’esagerazione”. Questa esagerazione è quella a cui inducono gli stati emotivi, tipo odio o un eccesso di attaccamento e bramosia verso l’oggetto; stati emotivi che limitano la nostra prospettiva e ci conducono alla chiusura mentale. Questi stati emotivi apparentemente ci appaiono come utili al perseguimento del nostro obiettivo, ma nei fatti non fanno altro che moltiplicare gli effetti negativi nel momento in cui sembrano essere ostacolati. In particolare nel caso della rabbia e dell’odio, queste condizioni si alimentano in un cerchio perverso di desiderio e di limitazione. “Nel momento in cui si generano la rabbia e la bramosia, la realtà viene oscurata e, al suo posto, scorgiamo bontà o cattiveria estreme, che suscitano azioni distorte e irreali.”15
Avere consapevolezza di tale dinamica nelle relazioni “non significa che buono e cattivo, favorevole e sfavorevole, non esistano, poiché di fatto esistono, ma significa che non esistono come qualità indipendenti, come appaiono invece a una mente piena di bramosia e di odio.”16 Le argomentazioni sono volte a dimostrare l’interdipendenza dei fenomeni, ma, in affinità con il costruttivismo, non si tratta di una interdipendenza metafisica, ma dipendente dall’orizzonte di esperienza concettuale in cui ci troviamo ad agire. Il buddhismo parla di ”nesso tra le cause” attraverso il karma. Si potrebbe dire, della ”materia oscura” o "energia oscura" che tiene insieme l’universo, o gli universi, della nostra esperienza e delle relazioni.
Il problema che le amozioni afflittive limitano le possibilità di espressione della compassione. La compassione è una forma di disposizione che nasce come risultato della predisposizione positiva delle emozioni e delle virtù. Quando siamo in grado di considerare l’interrelazione e di valutare la mancanza di sussistenza oggettiva di ciò che in realtà attribuiamo all’oggetto sotto l’influsso delle emozioni, si apre la strada alla comprensione e alla compassione: “Non appena consideriamo l’interrelazione e perciò l’interdipendenza delle cose, diventa ovvia la falsità della visione che conduce alle emozioni afflittive” Per considerare la realtà della situazione bisogna evitare di sottomettere il proprio giudizio e “di sottomettersi volontariamente alle emozioni distruttive, perché offuscano la verità in ogni e qualsiasi campo... Bramosia e odio sono semplicemente irrealistici.”17
Le emozioni distruttive portano al paradosso analogamente a quelle che Watzlawick considera patologie della comunicazione che causano il problema relazionale e, nei casi più estremi, psicologico e addirittura, psichiatrico. “Quando le emozioni distruttive dominano la scena – dice il Dalai Lama -, è più difficile comprendere che la situazione dipende da una moltitudine di circostanze correlate e, di conseguenza, ancora più difficile capire come cambiarla. Se odio e bramosia sono assenti, al contrario la rete di interconnessioni è assai più facile da scorgere.” E in definitiva ciò che si intende promuovere è il “cambiamento”. “Cambiamento” che per l’approccio della terapia breve di stampo costruttivista vuol dire cambiamento nella relazione e cambiamento cognitivo; mentre per il buddhismo il cambiamento è legato ad una prospettiva etica e di valore anche religioso. “La possibilità di porre fine ai nostri guai – dice ancora il Dalai Lama – dipende dalla capacità di comprendere l’interdipendenza, che i buddhisti chiamano “sorgere-dipendente”. La percezione erronea [un fatto cognitivo, pertanto] che persone e cose esistano in sé e per sé dà origine a pensieri sbagliati che, a loro volta, generano le emozioni nocive della bramosia e dell’odio, in un ciclo che si perpetua quasi all’infinito. Le emozioni distruttive producono azioni alterate e tali azioni lasciano impronte nella mente [altro fatto cognitivo che si spinge oltre il cognitivismo fino alla concordanza con la più recente considerazione della cosiddetta “plasticità del cervello” che appare come un ponte tra scienze neurali e cognitive], che portano a reiterati cicli di dolore. Possiamo mettere fine al processo coltivando la consapevolezza della subordinazione, della dipendenza e dell’interconnessione.18
[1] Dalai Lama,
L’arte della pace interiore, cap. IV. Ci mettiamo nei guai da soli,
p. 1/8
[2] Dalai
Lama, Ibidem.
[3] Dalai
Lama, Ibidem.
[4] Dalai
Lama, Ibidem, 2/8.
[5] Dalai
Lama, Ibidem.
[6] Ernst
von Gasersfeld, Introduzione al
costruttivismo radicale, in La realtà
inventata. Contributi al costruttivismo, a cura di Paul Watzlawick, p. 19.
La differenza tra la concezione tradizionale della
conoscenza e il costruttivismo sta nel rapporto tra conoscenza e realtà “Mentre
la concezione tradizionale, nella teoria della conoscenza nonché ella psicologia
cognitiva, considera sempre questo rapporto come una concordanza o
corrispondenza più o meno d’immagine (iconica), il costruttivismo radicale lo
vede come un adeguamento al senso funzionale.” Ibidem p. 20.
[7] Ibidem,
p. 27.
[8] Ibidem,
p. 29.
[9] Gabriele
Chiari, Il costruttivismo in psicologia e
psicoterapia. Il caleidoscopio della conoscenza, Raffaello Cortina Editore,
Milano 2016, p. 116.
[10] G.
Chiari, ibidem, p. 115-116.
[11] G.
Chiari, ibidem, p. 117.
[12] Dalai
Lama, ibidem, p. 4/8.
[13] Dalai Lama, ibidem, p. 6/8.
[14] Dalai Lama, ibibem, p. 7/8.
[15] Dalai Lama, L’arte della pace interiore, V. Smarrire la giusta prospettiva nelle situazioni impegnative, p. 3/8
[16] Dalai Lama, ibidem,
[17] Dalai Lama, ibidem, p. 5/8.
[18] Dalai Lama, ibidem, p. 7/8.
[13] Dalai Lama, ibidem, p. 6/8.
[14] Dalai Lama, ibibem, p. 7/8.
[15] Dalai Lama, L’arte della pace interiore, V. Smarrire la giusta prospettiva nelle situazioni impegnative, p. 3/8
[16] Dalai Lama, ibidem,
[17] Dalai Lama, ibidem, p. 5/8.
[18] Dalai Lama, ibidem, p. 7/8.