Temperantia, cioè la moderazione, per chi ha responsabilità pubbliche vuol dire ... ricerca della verità e pretesa della libertà.
«La moderazione (Temperantia) – dice
Dahrendorf - … ci trasporta nel pieno della vita. Essa riguarda il
modo di porsi degli uomini nei confronti del mondo.»1
La
virtù della moderazione si realizza come conciliazione e superamento
della dicotomia tra vita activa e vita contemplativa
che già la dottrina classica voleva in contrapposizione. Quando
Weber parlava di etica della responsabilità ed etica dei principi
intendeva che tra l’ispirazione ad una vita volta all’agire
sociale (etica della responsabilità) ed una ispirazione ad una vita
volta alla conoscenza e all’esercizio del sapere scientifico (etica
dei principi) non esista una possibilità di conciliazione, ma un
conflitto: o si è votati all’una o all’altra attività, la
commistione tra le due etiche genera equivoci e contraddizioni.
Al contrario, per Dahrendorf, la virtù della Temperantia si
realizza proprio dalla convergenza tra le due aspirazioni e
dall’unione delle due etiche in un unico principio ispiratore del
proprio essere. Infatti, le due etiche rimangono inconciliabili nella
teoria, tuttavia esse possono essere conciliate nella prassi.
Dahrendorf
utilizza un concetto marxiano che potrebbe consentire di rendere
tanti aspetti di questa filosofia come “filosofia della prassi”
del cosiddetto a-rovesciamento marxiano secondo cui si tratta di
cambiare il mondo che i filosofi interpretano, alla filosofia della
libertà. Ma questa conciliazione, al contrario di come pensava Marx,
non si realizza in una prassi rivoluzionaria; ma si realizza come
parte costitutiva di un atteggiamento che riguarda l’individuo
umano in quanto “osservatore impegnato”, e anche se nella realtà
riguarda l’intellettuale, ciò riguarda la capacità di chiunque
intenda occuparsi di problemi pubblici.
Questa
conciliazione si realizza come congiunzione tra l’osservatore e
l’attore in un solo individuo, laddove la sua attività riesce a
conciliare la scienza come campo della riflessione con la politica
come campo proprio dell’azione, una conciliazione che si realizza
nella dimensione in cui entrambi gli ambiti si colgono attraverso un
approccio di sviluppo teorico che si esprime attraverso un agire
empirico che funziona anche come verifica di una ulteriore
riflessione teorica. In questo senso le due etiche di colui che si
vota per la conoscenza e colui che assume la via della responsabilità
si uniscono in un unico individuo.
La
moderazione è l’ambito proprio di realizzazione di questa prassi
nel senso in cui essa riguarda il modo di porsi degli uomini nei
confronti del mondo. La moderazione in questo senso «è l’impegno
interiore che si ritrae dall’agire e cerca nell’osservare una
realizzazione che esso, in fondo, non può dare.»2
Questa virtù si realizza come quella forte e a volte insopportabile
tensione tra l’azione e la conoscenza della realtà che si
manifesta nell’”osservatore impegnato”. Essere osservatore
impegnato di fronte alla storia che si compie giorno per giorno nelle
vicende umane e negli avvenimenti delle società significava per
Aron, rispetto a questa realtà “essere … quanto più possibile
oggettivo e insieme non del tutto distaccato, a impegnato.”
In questo contesto impegno
«significa prima di tutto intima partecipazione alla realtà che
viene osservata … L’osservatore impegnato … si mantiene sul
terreno di una partecipazione [ai fatti] che per intensità non è
inferiore a quella degli attori». Questa partecipazione per
l’osservatore impegnato non esaurisce il suo atteggiamento di
fronte alla realtà. L’impegno formale non è tutto poiché
«l’osservatore impegnato è in misura particolare votato alla
verità». E ancora «oltre alla ricerca della verità, l’osservatore
impegnato esige la libertà»3.
Moderazione, Temperantia, vuol dire quindi
ricerca della verità e pretesa della libertà.
Per
Erasmo la temperanza, la saggezza, è una fondamentale virtù del
Principe: “non manca chi pensa addirittura che la saggezza sia da
ostacolo al principe. La forza dell’animo così si impigrisce,
dicono, e il principe diviene pauroso. Ma quella di cui parlano è
temerarietà, non coraggio: è stupidità, non forza d’animo, il
non temere nulla per il fatto che non si è in grado di giudicare. La
forza del principe deve derivare da altre sorgenti. In quel modo sono
bravi a dimostrarsi audaci i giovani, in particolare i più furiosi.
La timidezza, al contrario, è benefica, perché, mentre individua il
pericolo, insegna anche a scansarlo e così si rivela un deterrente
dalle decisioni sbagliate e arrischiate. Occorre che veda più di
tutti colui il quale, da solo, vede per conto di tutti; occorre che
sia più saggio degli altri colui il quale, da solo, decide per conto
della comunità. Ciò che è Dio nell’universo, il sole nel mondo,
l’occhio nel corpo: ecco cosa deve essere il principe nello stato.”
In
un primo confronto tra Erasmo, come precursore di un illuminismo dal
volto umano e Machiavelli quale precursore della fredda razionalità
politica responsabile del dispotismo – e il cui pensiero, quindi,
finisce col negare gli stessi valori della ragione che pensava di
realizzare, valori negati per il fatto di porsi il problema della
libertà e del libero arbitrio – possiamo dire che per Machiavelli
vir bonus e princeps sono figure difficilmente
sovrapponibili: ciò che conta è che il principe eserciti le virtù
che rinsaldano il potere, non curandosi troppo delle virtù che non
hanno a che fare con la politica. Per Erasmo, al contrario, può
anche essere che una persona per bene non sia in grado di fare il
principe, perché non è detto che il virtuoso abbia anche le
capacità necessarie per governare; ma senza dubbio il buon principe
non è tale se non è anzitutto vir bonus.
Quindi
nella virtù della riflessione e dell’impegno, nella saggezza, cioè
nella temperantia, si supera la dicotomia della modernità tra
vita attiva e vita contemplativa, tra lavoro e attività
intellettuale, tra laici e chierici, tra scelta razionale e scelta
morale, tra politica considerata come campo del puro intuito
finalizzato al potere sull’altro e politica come promozione dei
valori della libertà. La temperantia è un valore
fondamentale per una politica delle passioni (che non è soltanto
passione politica!)
1
Ralf Dahrendorf, Erasmiani. Gli
intellettuali alla prova del totalitarismo. Laterza Bari 2007,
p. 62.
2 Ibidem, p. 62
3 Ibidem, p. 65.
Nessun commento:
Posta un commento