venerdì 9 novembre 2018

Erasmiani 0.1 - Temperantia e politica delle passioni

Temperantia, cioè la moderazione, per chi ha responsabilità pubbliche vuol dire ... ricerca della verità e pretesa della libertà.



«La moderazione (Temperantia) – dice Dahrendorf - … ci trasporta nel pieno della vita. Essa riguarda il modo di porsi degli uomini nei confronti del mondo.»1
La virtù della moderazione si realizza come conciliazione e superamento della dicotomia tra vita activa e vita contemplativa che già la dottrina classica voleva in contrapposizione. Quando Weber parlava di etica della responsabilità ed etica dei principi intendeva che tra l’ispirazione ad una vita volta all’agire sociale (etica della responsabilità) ed una ispirazione ad una vita volta alla conoscenza e all’esercizio del sapere scientifico (etica dei principi) non esista una possibilità di conciliazione, ma un conflitto: o si è votati all’una o all’altra attività, la commistione tra le due etiche genera equivoci e contraddizioni.
Al contrario, per Dahrendorf, la virtù della Temperantia si realizza proprio dalla convergenza tra le due aspirazioni e dall’unione delle due etiche in un unico principio ispiratore del proprio essere. Infatti, le due etiche rimangono inconciliabili nella teoria, tuttavia esse possono essere conciliate nella prassi.
Dahrendorf utilizza un concetto marxiano che potrebbe consentire di rendere tanti aspetti di questa filosofia come “filosofia della prassi” del cosiddetto a-rovesciamento marxiano secondo cui si tratta di cambiare il mondo che i filosofi interpretano, alla filosofia della libertà. Ma questa conciliazione, al contrario di come pensava Marx, non si realizza in una prassi rivoluzionaria; ma si realizza come parte costitutiva di un atteggiamento che riguarda l’individuo umano in quanto “osservatore impegnato”, e anche se nella realtà riguarda l’intellettuale, ciò riguarda la capacità di chiunque intenda occuparsi di problemi pubblici.
Questa conciliazione si realizza come congiunzione tra l’osservatore e l’attore in un solo individuo, laddove la sua attività riesce a conciliare la scienza come campo della riflessione con la politica come campo proprio dell’azione, una conciliazione che si realizza nella dimensione in cui entrambi gli ambiti si colgono attraverso un approccio di sviluppo teorico che si esprime attraverso un agire empirico che funziona anche come verifica di una ulteriore riflessione teorica. In questo senso le due etiche di colui che si vota per la conoscenza e colui che assume la via della responsabilità si uniscono in un unico individuo.
La moderazione è l’ambito proprio di realizzazione di questa prassi nel senso in cui essa riguarda il modo di porsi degli uomini nei confronti del mondo. La moderazione in questo senso «è l’impegno interiore che si ritrae dall’agire e cerca nell’osservare una realizzazione che esso, in fondo, non può dare.»2 Questa virtù si realizza come quella forte e a volte insopportabile tensione tra l’azione e la conoscenza della realtà che si manifesta nell’”osservatore impegnato”. Essere osservatore impegnato di fronte alla storia che si compie giorno per giorno nelle vicende umane e negli avvenimenti delle società significava per Aron, rispetto a questa realtà “essere … quanto più possibile oggettivo e insieme non del tutto distaccato, a impegnato.”
In questo contesto impegno «significa prima di tutto intima partecipazione alla realtà che viene osservata … L’osservatore impegnato … si mantiene sul terreno di una partecipazione [ai fatti] che per intensità non è inferiore a quella degli attori». Questa partecipazione per l’osservatore impegnato non esaurisce il suo atteggiamento di fronte alla realtà. L’impegno formale non è tutto poiché «l’osservatore impegnato è in misura particolare votato alla verità». E ancora «oltre alla ricerca della verità, l’osservatore impegnato esige la libertà»3. Moderazione, Temperantia, vuol dire quindi ricerca della verità e pretesa della libertà.
Per Erasmo la temperanza, la saggezza, è una fondamentale virtù del Principe: “non manca chi pensa addirittura che la saggezza sia da ostacolo al principe. La forza dell’animo così si impigrisce, dicono, e il principe diviene pauroso. Ma quella di cui parlano è temerarietà, non coraggio: è stupidità, non forza d’animo, il non temere nulla per il fatto che non si è in grado di giudicare. La forza del principe deve derivare da altre sorgenti. In quel modo sono bravi a dimostrarsi audaci i giovani, in particolare i più furiosi. La timidezza, al contrario, è benefica, perché, mentre individua il pericolo, insegna anche a scansarlo e così si rivela un deterrente dalle decisioni sbagliate e arrischiate. Occorre che veda più di tutti colui il quale, da solo, vede per conto di tutti; occorre che sia più saggio degli altri colui il quale, da solo, decide per conto della comunità. Ciò che è Dio nell’universo, il sole nel mondo, l’occhio nel corpo: ecco cosa deve essere il principe nello stato.”

In un primo confronto tra Erasmo, come precursore di un illuminismo dal volto umano e Machiavelli quale precursore della fredda razionalità politica responsabile del dispotismo – e il cui pensiero, quindi, finisce col negare gli stessi valori della ragione che pensava di realizzare, valori negati per il fatto di porsi il problema della libertà e del libero arbitrio – possiamo dire che per Machiavelli vir bonus e princeps sono figure difficilmente sovrapponibili: ciò che conta è che il principe eserciti le virtù che rinsaldano il potere, non curandosi troppo delle virtù che non hanno a che fare con la politica. Per Erasmo, al contrario, può anche essere che una persona per bene non sia in grado di fare il principe, perché non è detto che il virtuoso abbia anche le capacità necessarie per governare; ma senza dubbio il buon principe non è tale se non è anzitutto vir bonus.
Quindi nella virtù della riflessione e dell’impegno, nella saggezza, cioè nella temperantia, si supera la dicotomia della modernità tra vita attiva e vita contemplativa, tra lavoro e attività intellettuale, tra laici e chierici, tra scelta razionale e scelta morale, tra politica considerata come campo del puro intuito finalizzato al potere sull’altro e politica come promozione dei valori della libertà. La temperantia è un valore fondamentale per una politica delle passioni (che non è soltanto passione politica!)

1 Ralf Dahrendorf, Erasmiani. Gli intellettuali alla prova del totalitarismo. Laterza Bari 2007, p. 62.
2  Ibidem, p. 62
3  Ibidem, p. 65.

Nessun commento:

Posta un commento

Perché non possiamo non dirci liberali. Il liberalismo critico di Raymond Aron.

https://www.lospiffero.com/ls_ballatoio_article.php?id=3835 https://amzn.eu/d/85oEalG