venerdì 21 maggio 2021

Umanità liberale, società e storia. Il mondo di Raymond Aron. Premessa

Nell’alba del nuovo millennio è possibile guardare in prospettiva verso l’ultimo secolo, il “secolo breve” e dello stato sociale, per cercare di cogliere quanto di già vissuto, di già pensato, allunga le sue ombre verso il nuovo secolo e cosa invece sta fiorendo dalle discussioni e i conflitti di fine millennio. Dopo la nascita degli stati nazionali della seconda metà dell’Ottocento tra fenomeni storico politici che hanno contraddistinto il Diciannovesimo secolo si impone quello dello sviluppo della democrazia, in tutti i suoi componenti, istituzionali, politici e sociali; uno sviluppo che si realizza in modo conflittuale e spesso con risvolti drammatici attraverso la polarizzazione delle problematiche relative all’affermazione dell’uguaglianza e della distribuzione delle ricchezze nazionale da un lato e a quelle della partecipazione alla cosa pubblica a allo sviluppo dei diritti di civili dall’altro. All’interno di questo equilibrio ha preso forma con alti bassi, slanci ed involuzioni, quella che noi definiamo come cittadinanza. La cittadinanza e lo sviluppo dei diritti sociali e politici su cui si erge e la capacità di tutelare e regolare la libertà degli individui come sua massima espressione, rappresenta il fulcro della democrazia moderna.

Non era così per la democrazia degli antichi, che era più un privilegio per una aristocrazia. Come aveva intuito Tocqueville, la democrazia dei moderni ha si basa sulla ricerca di una soluzione al problema della partecipazione alla cosa pubblica delle grandi masse, che, nel Diciannovesimo secolo, ha trovato sbocco nella nascita dei partiti e dei movimenti politici orientati, e qui siamo al secondo grande fenomeno che ha contraddistinto il secolo, da ideologie ma tendenti a porre una soluzione al problema del governo e della gestione del potere. Accanto alle ideologie e al problema del potere politico, nel Diciannovesimo secolo l’umanità ha fatto esperienza di quella che può essere considerata la più grande minaccia della libertà e della democrazia moderna: la manipolazione delle masse, una manipolazione che è riuscita a piegare a proprio vantaggio proprio quello che appare come il nucleo della democrazia, il consenso popolare. Il totalitarismo si erge come un’ombra minacciosa sulla democrazia e sulla modernità e appare ancora oggi come un fenomeno situato tra l’incapacità di assimilare le grandi masse alle prassi e ai riti della democrazia e il tentativo di distorcere le spinte del progresso verso i fini delle politiche di potenza sviluppatesi nella crisi che secolo aveva riservato ai sentimenti nazionalisti delle epoche precedenti. Ciò vale per le società che sono pervenute alla democrazia anche in senso storico. Nel panorama internazionale l’incognita, invece, che emerge sempre in modo più forte, riguarda quelle società che non hanno mai conosciuto o riconosciuto la democrazia e la libertà quale principio per la formazione delle istituzioni.

Diritti di cittadinanza come libertà e aumento del benessere sociale, fenomeni che hanno trovano linfa in quella storia che ha portato tutto l’Occidente sulla strada dello sviluppo scientifico e della tecnica, una storia che si amalgama con il ruolo attribuito alla libertà di pensiero e di azione racchiusa simbolicamente nel mito di Prometeo; questi, si diceva, sono aspetti che rappresentano quell’altro fenomeno che nel Diciannovesimo secolo è emerso con tutta la sua forza e capacità di cambiamenti e stravolgimenti della storia umana e dell’ambiente in cui si svolge, è il tema del progresso connesso anche allo sviluppo della società industriale e post industriale di oggi.

Rispetto alla libertà invece l’emergenza attuale sembra riguardare tutti quei settori dove la libertà di scelta e la capacità di giudizio si scontra con la capacità di controllare e di manipolare le informazioni; quindi un tema cruciale per lo sviluppo della democrazia paragonabile soltanto a quelli che nel secolo scorso sono state le acquisizioni rispetto ai diritti sociali che hanno messo gli individui nelle condizioni migliori per l’esercizio dei diritti di cittadinanza espressi attraverso le procedure della democrazia e la realizzazione di una uguaglianza morale.

Libertà, progresso, ideologia e gli aspetti politici connessi della democrazia e delle crisi totalitarie. Sono i temi che rappresentano il secolo scorso insieme alla nascita della società del benessere interpretata dall’era socialdemocratica del secondo dopoguerra, l’affermazione dei diritti civili e dei diritti sociali. Attraverso tutti questi temi ha trovato espressione la sociologia politica di Raymond Aron, attraverso il delinearsi di una metodologia e di un approccio che potremmo definire di tipo storico fenomenologico in cui il ruolo hard per l’individuazione di leggi e di costanti mutuate dal ragionamento scientifico lascia spazio per l’attività, prettamente umana, per l’interpretazione e la supposizione che orienta il nostro agire quotidiano così come incide nelle scelte dello storico e dello scienziato che si trova sempre a discriminare tra strade diverse in funzione di informazioni che emergono nella sua costante ricerca di risposte ai problemi del presente.

I temi emersi sembrano tagliare trasversalmente tutti gli aspetti e le vicende che hanno riguardato la storia politica del secolo, senza tanto rispetto per le distinzioni ottocentesche tra destra e sinistra. Il nucleo ideologico di questi movimenti, a destra quanto a sinistra, può essere considerato il populismo. Proprio per questa loro caratteristica appaiono oggi adatti a creare delle polarizzazioni utili ad orientarsi nella mappa delle problematiche politiche e dello sviluppo che riguardano in nuovo millennio che, per certi aspetti, si presentano come involuzioni rispetto ai passi avviati verso la fine del secolo che avevano fatto salutare il periodo come una nuova era per lo sviluppo della democrazia e della libertà parlando addirittura di “fine della storia”. Ponendo alla nostra attenzione le tematiche che abbiamo individuato sarà utile anche a capire come la storia non finisce col chiudersi di un suo aspetto e come essa rimanga sempre aperta a nuove prospettive che spesso sembrano incomprensibili e a nuove e sempre aperte interpretazioni.

A tutto questo ci potrà guidare il pensiero di Aron attraverso la selezione di quegli strumenti utili a leggere in modo diverso il recente passato al di là delle contrapposizioni politiche che hanno avuto maggiore affermazione e hanno contraddistinto le fatiche e le lotte degli uomini nel secolo scorso; strumenti che possono essere utili ad orientarsi nel presente attuale in coerenza con quella impostazione per la quale Aron riteneva che il problema di chi scruta nel passato è da cercarsi nel presente. Il nostro obiettivo non è di scrivere l’epitaffio di Aron, pertanto, saremo meno attenti al contesto e più concentrati sulle idee che Aron ha sviluppato quali risposte alle problematiche emergenti nel contesto storico politico del secolo scorso. Le ideologie, la conoscenza scientifica e il problema della tecnica tra positivisti e filosofi morali; l’esigenza di definire i fatti in modo oggettivo e l’impegno verso i valori, presentano sviluppi che vanno oltre le circostanze del secolo e appaiono oggi come premesse per dare fondamento ad una idea di liberalismo e di democrazia aperta verso le problematiche del nuovo millennio, un millennio annunciato dai cantori della fine delle democrazia e delle società liberali seguiti alla sepoltura dell’era socialdemocratica. Si tratta di una forzatura, ma con essa non crediamo di far torto al pensiero di Aron; anzi l’obiettivo è quello di mettere in evidenza i suoi aspetti più vivi secondo fedeltà a quanto da egli stesso affermato rispetto alla attività di ricostruzione del pensiero politico da parte degli storiografi, secondo cui il presente è la fonte dei problemi per cui cerchiamo risposte da attribuire al passato non meno di quanto il passato ci aiuti a comprendere i fatti del presente.

Per questo abbiamo individuato tre tematiche sotto cui leggere il pensiero di Aron. Tre problematiche che esprimono quel “secolo breve” di cui egli è stato uno dei protagonisti, nelle sue analisi e considerazioni di “osservatore impegnato”: il binomio libertà e uguaglianza, l’ideologia e il progresso. A queste si aggiunge un tema che, a nostro avviso, li taglia in modo sistemico e nel confronto con il quale si è andato formando l’approccio particolare di Aron, questo è il tema della storia e della interpretazione dei fatti e degli avvenimenti storici, il ruolo delle decisioni e della razionalità delle scelte, nell’analisi e nella conoscenza e la funzione di ciò che gli storici di varia estrazione intendono come leggi storiche.

Tra i temi cari ad Aron, assume una particolare rilevanza quello che riguarda i termini con cui Aron pone la riflessione sul problema della giustizia sociale, un problema centrale nella sua analisi e nella valutazione politica, trattato nell’impegno di evitare che le istanze della società nata dall’Illuminismo e dalle due rivoluzioni, scientifica, economica che hanno portato alla nascita dello stato di diritto e all’imporsi delle democrazie liberali, possano rimanere schiacciate sotto il peso delle ideologie che hanno caratterizzato le forme di partecipazione durante tutto il cosiddetto secolo breve. La giustizia sociale si misura dalle diseguaglianze che non paiono giustificabili agli occhi della morale. Diseguaglianze antiche e nuove diseguaglianze, un tema che costantemente riemerge sotto la spinta del cambiamento, appaiono nella loro drammaticità nei periodi di crisi come quella apertasi col nuovo millennio attraverso le scosse che provengono dalla globalizzazione che, mentre porta il mondo dei due terzi ad affacciarsi alla soglia del benessere, produce effetti che minano la stabilità e le conquiste raggiunte tra i ceti sociali dell’altro terzo del mondo.

Infine, la lezione di Raymond Aron assume oggi gli aspetti di un invito alla riflessione sui fenomeni del nuovo populismo. Una riflessione che ci aiuta a trovare le affinità e le assomiglianze con il vecchio proprio in ciò che si pretende di presentare come il nuovo più assoluto, si vuole presentare come la nemesi di tutto ciò che viene etichettato come decadenza, corruzione e fine di un’epoca. Il nuovo populismo usa questi toni nel proporsi sulla ribalta politica, toni che ripetono negli accenti come nei contenuti e la sostanza quanto già accaduto negli anni Venti e Trenta del secolo scorso con il radicarsi delle concezioni totalitarie dello stato etico.

Ma qual è il punto comune tra questo “nuovismo” e il vecchio “nuovismo” populista che Aron aveva già individuato e definito nei suoi tratti teorici e sociologici? Il potere, il punto di congiunzione è in una concezione della politica e della società come della storia, come lotta di potere tra élites che lottano e si intercedono a capo del sistema sociale e dello Stato. Aron definisce questa concezione della politica come neo-machiavellismo, teorizzato nelle concezioni sociologiche di Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto, concezioni fatte proprie dalla visione del fascismo e del totalitarismo. A fronte di tali concezioni si erge la concezione della democrazia come affermazione della libertà attraverso la dialettica politica che media i conflitti che si generano dalle costanti ineguaglianze che accompagnano, inevitabilmente, lo sviluppo. Il populismo promette una sorta di uguaglianza attraverso la delimitazione tra un “noi” e un “loro”, e non è un caso che il nuovo populismo annoveri tra i propri nemici la scienza e la tecnologia come le liberal democrazie. Si potrebbe dire niente di nuovo sotto il sole, ma ciò che la lezione di Aron ci insegna è che ancora bisogna fare molto per affermare una concezione della politica e delle relazioni sociali che sia conforme ad una società che ha come vocazione il cambiamento e la realizzazione di sempre nuovi livelli di eguaglianza, o meglio, nuovi livelli di libertà, attraverso quella prassi della responsabilità e che prende sul serio le promesse dell’Illuminismo nel quale affonda le sue radici più vive, come accade quando si assume l’idea liberale quale stella polare delle scelte pubbliche.

Aron crede nelle promesse dell’Illuminismo e, in tal senso, è un ottimista in quanto trova dei valori positivi nella nostra storia e nell’individuo umano. Aron è un realista che crede che l'uomo deve cercare costantemente di realizzare nella propria vita e attraverso la decisione, l'azione e l'assunzione di responsabilità la propria libertà ed individualità. In questa costante ricerca, il nemico della libertà dell'uomo non è il progresso ma le utopie e le ideologie che su di esso si sono radicate per negarlo oppure per esaltarlo in senso assoluto. Tra queste rientrano anche quella russoiana e hobbesiana che contrappongono una natura buona ad una storia cattiva; ma anche le ideologie del liberalismo classico che postulano un homo oeconomicus intento al calcolo della propria utilità; e nemiche della libertà sono senza dubbio le utopie del passato come quelle reazionarie della mitica età dell'oro. Nemico della libertà dell'uomo è, una volta di più, il nichilismo e l'irrazionalismo che scaturisce sempre dalla delusione causata dallo scontro tra le utopie e le ideologie e la realtà con cui sono costruiti i fatti della storia. Aron combatte, nella sua filosofia e nella sua assunzione di responsabilità politica, contro tutti questi nemici dell'uomo e della libertà. Aron è un ottimista nel senso che crede nel pensiero critico, che è in grado di smascherare i nemici della libertà; e, dalla sua parte, ritiene di avere il progresso con tutte le sue contraddizioni e i suoi conflitti è per questo che quello di Aron può essere definito come pragmatismo critico.

Ralf Dahrendorf colloca Aron tra gli intellettuali “erasmiani”, insieme a Popper, Isaiah Berlin, Bobbio. Gli “erasmiani”, dice Dahrendorf sono innanzi tutto “osservatori impegnati”, poiché partecipano intimamente alla realtà che osservano con intensità non inferiore a quella dei protagonisti degli eventi che osservano. Gli osservatori impegnati sono particolarmente votati per la ricerca della verità. Quella verità che “è ineluttabilmente sottratta alla nostra presa”, ma la cui continua ricerca è determinante, non solo per l’osservatore neutro – per esempio lo scienziato –, “ma anche per l’osservatore impegnato” e “né le mode né gli interessi possono distogliere dalla verità” questi osservatori. Oltre “alla ricerca della verità, l’osservatore impegnato esige la libertà”. Infatti, gli intellettuali impegnati, dice Dahrendorf “hanno avuto tutti, accanto all’impegno per la verità, l’impegno per la libertà nel senso più elementare in cui il termine deve essere inteso”.

Aron appartiene alla schiera degli osservatori impegnati che cercano la verità con l’impegno verso la libertà, quegli osservatori che non si sono piegati alle lusinghe del totalitarismo e hanno mantenuto il distacco critico anche di fronte alle promesse di un progresso senza limiti. “La capacità di non farsi deviare dal proprio cammino quando si rimane da soli; la disponibilità di vivere le contraddizioni e i conflitti del mondo umano… l’appassionata dedizione alla ragione come strumento di conoscenza e di azione. Queste sono le virtù cardinali della libertà,” virtù che hanno consentito a questi osservatori di non si sono lasciati abbagliare dalle lusinghe del loro tempo; virtù liberali, di cui Erasmo da Rotterdam fu precursore.[1] “Gli Erasmiani non sono, certo, una società segreta e, in fondo, non costituiscono nemmeno una comunità. Sono semplicemente uomini e donne che condividono con Erasmo le virtù della libertà. Sono intellettuali pubblici che, nel tempo in cui è toccato loro di vivere, hanno resistito alle tentazioni del totalitarismo. E sono quindi rappresentanti di quello che si può chiamare lo spirito liberale, intendendo con questa espressione un atteggiamento intellettuale di fondo che può essere caratterizzato dalle virtù cardinali [della libertà] … Ma soprattutto, essi rappresentano un concetto di libertà, che è insieme rigorosamente definito e intenso. Come diceva Isaiah Berlin gli uomini vogliono fare la propria vita, «questa la libertà quale è stata intesa dai liberali nel mondo moderno dai tempi di Erasmo ai nostri giorni».”[2]

La libertà richiede una attività che richiede fatica, uno sforzo ed una pratica virtuosa da parte degli individui, non sta, per così dire, nelle cose, e non c’è nessuna condizione che la possa realizzare indipendentemente da quella pratica e da quella tensione morale e spirituale che realizza l’individualità e caratterizza l’essere umano quale essere superiore, ma si assottiglia fino a spegnersi col venir meno della pratica di quelle che Dahrendorf definisce come le virtù cardinali della libertà. «Le tentazioni del totalitarismo si nutrono della debolezza degli intellettuali che non riescono a sopportare la libertà.»[3] Le virtù cardinali: fortitudo, iustitia, temperantia e prudentia, cioè il coraggio, la giustizia, la moderazione e la saggezza … hanno un nocciolo immutabile che ne fa virtù per sempre valide.» Le virtù sono, per così dire, «valori generali più fatica individuale» che con ripetuti e molto apprezzati comportamenti opportuni, ripetuti con determinazione e costanza «possono essere acquisite attraverso i nostri sforzi». Libertà e individualità, così come miglioramento della condizione umana sotto tutti gli aspetti materiali e morali ed etiche, si congiungono nel dare un senso e un valore al concetto di umanità, quell’umanità a cui appartiene Aron, «In questo senso la dottrina delle virtù proposta per la prima volta da Platone è adatta anche per descrivere quell’atteggiamento interiore che mette in grado gli spiriti liberali di resistere alle tentazioni di ogni autoritarismo e totalitarismo. »[4]



[1] Ralf Dahrendorf, Erasmiani. Gli intellettuali alla prova del totalitarismo. Laterza Bari 2007, p. 74.

[2] R.D., ibidem pp. 83-84.

[3] R.D., ibidem p. 48.

[4] R. D., ibidem p. 51.


Nessun commento:

Posta un commento

Perché non possiamo non dirci liberali. Il liberalismo critico di Raymond Aron.

https://www.lospiffero.com/ls_ballatoio_article.php?id=3835 https://amzn.eu/d/85oEalG