Non
era così per la democrazia degli antichi, che era più un privilegio per una
aristocrazia. Come aveva intuito Tocqueville, la democrazia dei moderni ha si
basa sulla ricerca di una soluzione al problema della partecipazione alla cosa
pubblica delle grandi masse, che, nel Diciannovesimo secolo, ha trovato sbocco nella
nascita dei partiti e dei movimenti politici orientati, e qui siamo al secondo
grande fenomeno che ha contraddistinto il secolo, da ideologie ma tendenti a
porre una soluzione al problema del governo e della gestione del potere.
Accanto alle ideologie e al problema del potere politico, nel Diciannovesimo
secolo l’umanità ha fatto esperienza di quella che può essere considerata la
più grande minaccia della libertà e della democrazia moderna: la manipolazione
delle masse, una manipolazione che è riuscita a piegare a proprio vantaggio
proprio quello che appare come il nucleo della democrazia, il consenso popolare.
Il totalitarismo si erge come un’ombra minacciosa sulla democrazia e sulla
modernità e appare ancora oggi come un fenomeno situato tra l’incapacità di
assimilare le grandi masse alle prassi e ai riti della democrazia e il
tentativo di distorcere le spinte del progresso verso i fini delle politiche di
potenza sviluppatesi nella crisi che secolo aveva riservato ai sentimenti
nazionalisti delle epoche precedenti. Ciò vale per le società che sono
pervenute alla democrazia anche in senso storico. Nel panorama internazionale
l’incognita, invece, che emerge sempre in modo più forte, riguarda quelle
società che non hanno mai conosciuto o riconosciuto la democrazia e la libertà quale
principio per la formazione delle istituzioni.
Diritti
di cittadinanza come libertà e aumento del benessere sociale, fenomeni che
hanno trovano linfa in quella storia che ha portato tutto l’Occidente sulla
strada dello sviluppo scientifico e della tecnica, una storia che si amalgama
con il ruolo attribuito alla libertà di pensiero e di azione racchiusa
simbolicamente nel mito di Prometeo; questi, si diceva, sono aspetti che
rappresentano quell’altro fenomeno che nel Diciannovesimo secolo è emerso con
tutta la sua forza e capacità di cambiamenti e stravolgimenti della storia
umana e dell’ambiente in cui si svolge, è il tema del progresso connesso anche
allo sviluppo della società industriale e post industriale di oggi.
Rispetto
alla libertà invece l’emergenza attuale sembra riguardare tutti quei settori
dove la libertà di scelta e la capacità di giudizio si scontra con la capacità
di controllare e di manipolare le informazioni; quindi un tema cruciale per lo
sviluppo della democrazia paragonabile soltanto a quelli che nel secolo scorso
sono state le acquisizioni rispetto ai diritti sociali che hanno messo gli
individui nelle condizioni migliori per l’esercizio dei diritti di cittadinanza
espressi attraverso le procedure della democrazia e la realizzazione di una
uguaglianza morale.
Libertà,
progresso, ideologia e gli aspetti politici connessi della democrazia e delle
crisi totalitarie. Sono i temi che rappresentano il secolo scorso insieme alla
nascita della società del benessere interpretata dall’era socialdemocratica del
secondo dopoguerra, l’affermazione dei diritti civili e dei diritti sociali.
Attraverso tutti questi temi ha trovato espressione la sociologia politica di
Raymond Aron, attraverso il delinearsi di una metodologia e di un approccio che
potremmo definire di tipo storico fenomenologico in cui il ruolo hard per
l’individuazione di leggi e di costanti mutuate dal ragionamento scientifico
lascia spazio per l’attività, prettamente umana, per l’interpretazione e la
supposizione che orienta il nostro agire quotidiano così come incide nelle
scelte dello storico e dello scienziato che si trova sempre a discriminare tra
strade diverse in funzione di informazioni che emergono nella sua costante
ricerca di risposte ai problemi del presente.
I
temi emersi sembrano tagliare trasversalmente tutti gli aspetti e le vicende
che hanno riguardato la storia politica del secolo, senza tanto rispetto per le
distinzioni ottocentesche tra destra e sinistra. Il nucleo ideologico di questi
movimenti, a destra quanto a sinistra, può essere considerato il populismo. Proprio
per questa loro caratteristica appaiono oggi adatti a creare delle
polarizzazioni utili ad orientarsi nella mappa delle problematiche politiche e
dello sviluppo che riguardano in nuovo millennio che, per certi aspetti, si
presentano come involuzioni rispetto ai passi avviati verso la fine del secolo
che avevano fatto salutare il periodo come una nuova era per lo sviluppo della
democrazia e della libertà parlando addirittura di “fine della storia”. Ponendo
alla nostra attenzione le tematiche che abbiamo individuato sarà utile anche a
capire come la storia non finisce col chiudersi di un suo aspetto e come essa
rimanga sempre aperta a nuove prospettive che spesso sembrano incomprensibili e
a nuove e sempre aperte interpretazioni.
A
tutto questo ci potrà guidare il pensiero di Aron attraverso la selezione di
quegli strumenti utili a leggere in modo diverso il recente passato al di là
delle contrapposizioni politiche che hanno avuto maggiore affermazione e hanno
contraddistinto le fatiche e le lotte degli uomini nel secolo scorso; strumenti
che possono essere utili ad orientarsi nel presente attuale in coerenza con
quella impostazione per la quale Aron riteneva che il problema di chi scruta
nel passato è da cercarsi nel presente. Il nostro obiettivo non è di scrivere
l’epitaffio di Aron, pertanto, saremo meno attenti al contesto e più
concentrati sulle idee che Aron ha sviluppato quali risposte alle problematiche
emergenti nel contesto storico politico del secolo scorso. Le ideologie, la
conoscenza scientifica e il problema della tecnica tra positivisti e filosofi
morali; l’esigenza di definire i fatti in modo oggettivo e l’impegno verso i
valori, presentano sviluppi che vanno oltre le circostanze del secolo e
appaiono oggi come premesse per dare fondamento ad una idea di liberalismo e di
democrazia aperta verso le problematiche del nuovo millennio, un millennio
annunciato dai cantori della fine delle democrazia e delle società liberali
seguiti alla sepoltura dell’era socialdemocratica. Si tratta di una forzatura,
ma con essa non crediamo di far torto al pensiero di Aron; anzi l’obiettivo è
quello di mettere in evidenza i suoi aspetti più vivi secondo fedeltà a quanto
da egli stesso affermato rispetto alla attività di ricostruzione del pensiero
politico da parte degli storiografi, secondo cui il presente è la fonte dei
problemi per cui cerchiamo risposte da attribuire al passato non meno di quanto
il passato ci aiuti a comprendere i fatti del presente.
Per
questo abbiamo individuato tre tematiche sotto cui leggere il pensiero di Aron.
Tre problematiche che esprimono quel “secolo breve” di cui egli è stato uno dei
protagonisti, nelle sue analisi e considerazioni di “osservatore impegnato”: il
binomio libertà e uguaglianza, l’ideologia e il progresso. A queste si aggiunge
un tema che, a nostro avviso, li taglia in modo sistemico e nel confronto con
il quale si è andato formando l’approccio particolare di Aron, questo è il tema
della storia e della interpretazione dei fatti e degli avvenimenti storici, il
ruolo delle decisioni e della razionalità delle scelte, nell’analisi e nella
conoscenza e la funzione di ciò che gli storici di varia estrazione intendono
come leggi storiche.
Tra
i temi cari ad Aron, assume una particolare rilevanza quello che riguarda i termini
con cui Aron pone la riflessione sul problema della giustizia sociale, un
problema centrale nella sua analisi e nella valutazione politica, trattato
nell’impegno di evitare che le istanze della società nata dall’Illuminismo e
dalle due rivoluzioni, scientifica, economica che hanno portato alla nascita
dello stato di diritto e all’imporsi delle democrazie liberali, possano
rimanere schiacciate sotto il peso delle ideologie che hanno caratterizzato le
forme di partecipazione durante tutto il cosiddetto secolo breve. La giustizia
sociale si misura dalle diseguaglianze che non paiono giustificabili agli occhi
della morale. Diseguaglianze antiche e nuove diseguaglianze, un tema che costantemente
riemerge sotto la spinta del cambiamento, appaiono nella loro drammaticità nei
periodi di crisi come quella apertasi col nuovo millennio attraverso le scosse
che provengono dalla globalizzazione che, mentre porta il mondo dei due terzi
ad affacciarsi alla soglia del benessere, produce effetti che minano la
stabilità e le conquiste raggiunte tra i ceti sociali dell’altro terzo del
mondo.
Infine,
la lezione di Raymond Aron assume oggi gli aspetti di un invito alla
riflessione sui fenomeni del nuovo populismo. Una riflessione che ci aiuta a
trovare le affinità e le assomiglianze con il vecchio proprio in ciò che si
pretende di presentare come il nuovo più assoluto, si vuole presentare come la
nemesi di tutto ciò che viene etichettato come decadenza, corruzione e fine di
un’epoca. Il nuovo populismo usa questi toni nel proporsi sulla ribalta
politica, toni che ripetono negli accenti come nei contenuti e la sostanza
quanto già accaduto negli anni Venti e Trenta del secolo scorso con il
radicarsi delle concezioni totalitarie dello stato etico.
Ma qual
è il punto comune tra questo “nuovismo” e il vecchio “nuovismo” populista che
Aron aveva già individuato e definito nei suoi tratti teorici e sociologici? Il
potere, il punto di congiunzione è in una concezione della politica e
della società come della storia, come lotta di potere tra élites che lottano e
si intercedono a capo del sistema sociale e dello Stato. Aron definisce questa
concezione della politica come neo-machiavellismo, teorizzato nelle concezioni
sociologiche di Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto, concezioni fatte proprie dalla
visione del fascismo e del totalitarismo. A fronte di tali concezioni si erge
la concezione della democrazia come affermazione della libertà attraverso la
dialettica politica che media i conflitti che si generano dalle costanti
ineguaglianze che accompagnano, inevitabilmente, lo sviluppo. Il populismo
promette una sorta di uguaglianza attraverso la delimitazione tra un “noi” e un
“loro”, e non è un caso che il nuovo populismo annoveri tra i propri nemici la
scienza e la tecnologia come le liberal democrazie. Si potrebbe dire niente di
nuovo sotto il sole, ma ciò che la lezione di Aron ci insegna è che ancora
bisogna fare molto per affermare una concezione della politica e delle
relazioni sociali che sia conforme ad una società che ha come vocazione il cambiamento
e la realizzazione di sempre nuovi livelli di eguaglianza, o meglio, nuovi
livelli di libertà, attraverso quella prassi della responsabilità e che prende
sul serio le promesse dell’Illuminismo nel quale affonda le sue radici più vive,
come accade quando si assume l’idea liberale quale stella polare delle scelte
pubbliche.
Aron crede nelle promesse dell’Illuminismo e, in tal senso, è
un ottimista in quanto trova dei valori positivi nella nostra storia e
nell’individuo umano. Aron è un realista che crede che l'uomo deve cercare
costantemente di realizzare nella propria vita e attraverso la decisione,
l'azione e l'assunzione di responsabilità la propria libertà ed individualità. In
questa costante ricerca, il nemico della libertà dell'uomo non è il progresso
ma le utopie e le ideologie che su di esso si sono radicate per negarlo oppure
per esaltarlo in senso assoluto. Tra queste rientrano anche quella russoiana e
hobbesiana che contrappongono una natura buona ad una storia cattiva; ma anche
le ideologie del liberalismo classico che postulano un homo oeconomicus intento
al calcolo della propria utilità; e nemiche della libertà sono senza dubbio le
utopie del passato come quelle reazionarie della mitica età dell'oro. Nemico
della libertà dell'uomo è, una volta di più, il nichilismo e l'irrazionalismo
che scaturisce sempre dalla delusione causata dallo scontro tra le utopie e le
ideologie e la realtà con cui sono costruiti i fatti della storia. Aron
combatte, nella sua filosofia e nella sua assunzione di responsabilità
politica, contro tutti questi nemici dell'uomo e della libertà. Aron è un
ottimista nel senso che crede nel pensiero critico, che è in grado di
smascherare i nemici della libertà; e, dalla sua parte, ritiene di avere il
progresso con tutte le sue contraddizioni e i suoi conflitti è per questo che
quello di Aron può essere definito come pragmatismo critico.
Ralf
Dahrendorf colloca Aron tra gli intellettuali “erasmiani”, insieme a Popper,
Isaiah Berlin, Bobbio. Gli “erasmiani”, dice Dahrendorf sono innanzi tutto
“osservatori impegnati”, poiché partecipano intimamente alla realtà che
osservano con intensità non inferiore a quella dei protagonisti degli eventi
che osservano. Gli osservatori impegnati sono particolarmente votati per la
ricerca della verità. Quella verità che “è ineluttabilmente sottratta alla
nostra presa”, ma la cui continua ricerca è determinante, non solo per
l’osservatore neutro – per esempio lo scienziato –, “ma anche per l’osservatore
impegnato” e “né le mode né gli interessi possono distogliere dalla verità”
questi osservatori. Oltre “alla ricerca della verità, l’osservatore impegnato
esige la libertà”. Infatti, gli intellettuali impegnati, dice Dahrendorf “hanno
avuto tutti, accanto all’impegno per la verità, l’impegno per la libertà nel
senso più elementare in cui il termine deve essere inteso”.
Aron
appartiene alla schiera degli osservatori impegnati che cercano la verità con
l’impegno verso la libertà, quegli osservatori che non si sono piegati alle
lusinghe del totalitarismo e hanno mantenuto il distacco critico anche di
fronte alle promesse di un progresso senza limiti. “La capacità di non farsi
deviare dal proprio cammino quando si rimane da soli; la disponibilità di
vivere le contraddizioni e i conflitti del mondo umano… l’appassionata
dedizione alla ragione come strumento di conoscenza e di azione. Queste sono le
virtù cardinali della libertà,” virtù che hanno consentito a questi osservatori
di non si sono lasciati abbagliare dalle lusinghe del loro tempo; virtù
liberali, di cui Erasmo da Rotterdam fu precursore.[1]
“Gli Erasmiani non sono, certo, una società segreta e, in fondo, non
costituiscono nemmeno una comunità. Sono semplicemente uomini e donne
che condividono con Erasmo le virtù della libertà. Sono intellettuali pubblici
che, nel tempo in cui è toccato loro di vivere, hanno resistito alle tentazioni
del totalitarismo. E sono quindi rappresentanti di quello che si può chiamare
lo spirito liberale, intendendo con questa espressione un atteggiamento
intellettuale di fondo che può essere caratterizzato dalle virtù cardinali
[della libertà] … Ma soprattutto, essi rappresentano un concetto di libertà,
che è insieme rigorosamente definito e intenso. Come diceva Isaiah Berlin gli
uomini vogliono fare la propria vita, «questa la libertà quale è stata intesa
dai liberali nel mondo moderno dai tempi di Erasmo ai nostri giorni».”[2]
La
libertà richiede una attività che richiede fatica, uno sforzo ed una pratica
virtuosa da parte degli individui, non sta, per così dire, nelle cose, e non
c’è nessuna condizione che la possa realizzare indipendentemente da quella
pratica e da quella tensione morale e spirituale che realizza l’individualità e
caratterizza l’essere umano quale essere superiore, ma si assottiglia fino a
spegnersi col venir meno della pratica di quelle che Dahrendorf definisce come
le virtù cardinali della libertà. «Le tentazioni del totalitarismo si nutrono
della debolezza degli intellettuali che non riescono a sopportare la libertà.»[3]
Le virtù cardinali: fortitudo, iustitia, temperantia e prudentia,
cioè il coraggio, la giustizia, la moderazione e la saggezza … hanno un
nocciolo immutabile che ne fa virtù per sempre valide.» Le virtù sono, per così
dire, «valori generali più fatica individuale» che con ripetuti e molto
apprezzati comportamenti opportuni, ripetuti con determinazione e costanza «possono
essere acquisite attraverso i nostri sforzi». Libertà e individualità, così
come miglioramento della condizione umana sotto tutti gli aspetti materiali e
morali ed etiche, si congiungono nel dare un senso e un valore al concetto di
umanità, quell’umanità a cui appartiene Aron, «In questo senso la dottrina
delle virtù proposta per la prima volta da Platone è adatta anche per
descrivere quell’atteggiamento interiore che mette in grado gli spiriti
liberali di resistere alle tentazioni di ogni autoritarismo e totalitarismo. »[4]
[1]
Ralf Dahrendorf, Erasmiani. Gli
intellettuali alla prova del totalitarismo. Laterza Bari 2007, p. 74.
[2]
R.D., ibidem pp. 83-84.
[3] R.D., ibidem p. 48.
[4]
R. D., ibidem p. 51.
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