giovedì 26 aprile 2018

Dahrendorf. Gli erasmiani: le virtù cardinali della libertà

La libertà richiede una attività che pretende fatica. Uno sforzo ed una pratica virtuosa da parte degli individui. Non sta, per così dire, nelle cose, e non c’è nessuna condizione che la possa realizzare indipendentemente da quella pratica e da quella tensione morale e spirituale che realizza l’individualità e caratterizza l’essere umano. La libertà si assottiglia fino a spegnersi col venir meno della fatica e della pratica delle le virtù cardinali.

Fortitudo, iustitia, temperantia e prudentia: il coraggio, la giustizia, la moderazione e la saggezza. Le virtù cardinali da Platone ad Aristotele, mantengono un nocciolo da millenni immutabile che ne fa virtù per sempre valide e metafora di umanità.
Le virtù non sono oggetti naturali, non hanno esistenza propria. Le virtù esistono nella volontà che si tende verso il senso della propria umanità; si manifestano come quella fatica e tensione continua che da ad esse forma ed esistenza. Le virtù non sono date una volta per tutte, ma sono «valori generali più fatica individuale» che con ripetuti e opportuni comportamenti «possono essere acquisite attraverso i nostri sforzi.

Nel lungo cammino della libertà attraverso le vicende delle costruzioni umane, le virtù che ne segnano il percorso, sono sempre quelle che hanno contraddistinto chi nel proprio pensiero non si è piegato ai voleri dell'autorità assoluta.  “La capacità di non farsi deviare dal proprio cammino quando si rimane da soli; la disponibilità di vivere le contraddizioni e i conflitti del mondo umano; la disciplina dell’osservatore impegnato, che non si lascia abbagliare; l’appassionata dedizione alla ragione come strumento di conoscenza e di azione. Queste sono le virtù cardinali della libertà.” Quelle virtù che permettono di resistere alle tentazioni di ogni totalitarismo.

    “Gli Erasmiani non sono, certo, una società segreta e, in fondo, non costituiscono nemmeno una comunità. Sono semplicemente uomini e donne che condividono con Erasmo le virtù della libertà. Sono intellettuali pubblici che, nel tempo in cui è toccato loro di vivere, hanno resistito alle tentazioni del totalitarismo. E sono quindi rappresentanti di quello che si può chiamare lo spirito liberale, intendendo con questa espressione un atteggiamento intellettuale di fondo che può essere caratterizzato dalle virtù cardinali [della libertà]"

Quali sono state, nel secolo delle grandi ideologie e delle dittature, le virtù cardinali riconoscibili negli Erasmiani? Su che cosa ha dovuto far affidamento l’intellettuale pubblico per resistere alle lusinghe dei totalitarismi? Come per Erasmo le virtù sono le stesse negli anni bui del totalitarismo e sono sempre le stesse alla soglia del nuovo millennio.

“Erasmo è un precursore delle virtù della libertà… la sua vita e la sua opera possono servire come sintesi … [di tali virtù]. La sua persona rivela i punti di forza e i punti di debolezza di coloro che si dimostrano impermeabili alle tentazioni del loro tempo, in particolare alle tentazioni dell’autoritarismo e del totalitarismo.”[1]
“Gli Erasmiani non sono, certo, una società segreta e, in fondo, non costituiscono nemmeno una comunità. Sono semplicemente uomini e donne che condividono con Erasmo le virtù della libertà. Sono intellettuali pubblici che, nel tempo in cui è toccato loro di vivere, hanno resistito alle tentazioni del totalitarismo. E sono quindi rappresentanti di quello che si può chiamare lo spirito liberale, intendendo con questa espressione un atteggiamento intellettuale di fondo che può essere caratterizzato dalle virtù cardinali [della libertà] … Ma soprattutto, essi rappresentano un concetto di libertà, che è insieme rigorosamente definito e intenso. Come diceva Isaiah Berlin gli uomini vogliono fare la propria vita. «Questa la libertà quale è stata intesa dai liberali nel mondo moderno dai tempi di Erasmo ai nostri giorni».”[2]




[1] Ralf Dahrendorf, Erasmiani. Gli intellettuali alla prova del totalitarismo. Laterza Bari 2007, p. 75.
[2] Ibidem, pp. 83-84.


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Perché non possiamo non dirci liberali. Il liberalismo critico di Raymond Aron.

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