Iustitia. «Col termine
giustizia noi indichiamo oggi soprattutto un determinato ordine della società
visto come una stella polare del comportamento. … In una interpretazione più
antica giustizia era anche il senso del corretto ordine delle cose umane.»
[1] Un
ordine «che poteva essere, ma non era necessariamente».
Dahrendorf non immagina una
giustizia quale ricomposizione platonica dei conflitti in una armonia
universale sotto la guida di un re filosofo. Preferisce piuttosto una versione
precedente del mondo e delle cose umane, presocratica, che considera il
conflitto quale principio generatore di tutte le cose, dove, così per dire,
Dahrendorf si schiererebbe dalla parte di Eraclito, secondo cui la realtà non è
mai per più di una volta uguale a sé stessa e che quindi tutto cambia e si
muove senza principio né fine; ma contro il Parmenide dell’”essere” unico
ingenerato ed eternamente uguale a sé stesso.
In questa scelta di Dahrendorf
c’è anche tanto di Popper e della prospettiva di una società aperta per la
quale presupposto della giustizia, e della società giusta, è l’accettazione del
conflitto: «con giustizia intendiamo qui appunto la consapevolezza che nel
convivere umano ci sono contrasti e contraddizioni che non possono essere
eliminati, ma devono essere sopportati in maniera conveniente».
Questa idea rimanda alla
considerazione che nella riflessione sulla società giusta bisogna partire dalla
presa d’atto dell’esistenza di un profondo antagonismo che interagisce con le
libertà di cui parla Berlin e al «quale – dice Dahrendorf – la dottrina delle
virtù qui abbozzata cerca una risposta univoca».
La riflessione sugli erasmiani
si sviluppa all’interno di una prospettiva che considera la dottrina delle
virtù quale risposta alle contraddizioni e alle dicotomie che emergono nel
rapporto tra la libertà e una società giusta. Il problema, classico della
sinistra, ad esempio, del rapporto tra libertà ed eguaglianza è parte di questo
conflitto; lo stesso per il problema della crescita e la distribuzione della
ricchezza.
Libertà e giustizia rappresentano
il cuore del conflitto sociale rispetto alle dinamiche dello sviluppo e della
dell’economia e dei diritti. Infatti, per Dahrendorf il conflitto,
regolamentato dallo Stato liberale e democratico, si pone al centro della
dinamica sociale nel modo moderno: «Il conflitto regolamentato è la fonte del
nuovo, e del fatto che il nuovo venga cercato, provato, trovato temporaneamente
buono, poi migliorato con qualcos’altro, ed eventualmente anche sostituito».
Nasce così la reale speranza per
gli uomini di aumentare le proprie chances di vita, quindi il
miglioramento delle proprie condizioni e il raggiungimento di più avanzati
traguardi di civiltà anche attraverso il progresso della scienza e della
tecnica. Questo conflitto generale, questa contrapposizione che, si potrebbe
dire, dialettica «trova nell’ordinamento liberale non soltanto la sua
regolamentazione, ma anche la sua trasformazione da forza distruttiva a forza
produttiva, creatrice.»
Nell’idea che la vicenda umana
si realizzi su di un fondamento che detiene il conflitto quale nucleo centrale
del proprio motore generatore, Dahrendorf si ritrova con i presocratici alla
ricerca di un Arché che giustifichi la natura del mondo. Dahrendorf ritrova il
suo Arché schierandosi dalla parte di Eraclito che considera il conflitto padre
dio ogni cosa, un conflitto che non va confuso con l’idea hobbesiana della
guerra di tutti contro tutti.
Ma non tutti i conflitti
arrivano ad una composizione, se non in modo temporaneo. In ogni società umana
ci sono state e continueranno ad esserci «contraddizioni che non si possono
sciogliere». Valori inconciliabili, conflitti sociali che nessuna sintesi può
immaginare di eliminare, contraddizioni per le quali non si ha alcuna
risoluzione perfetta «nemmeno nella costituzione giusta, ma solo un
“avvicinamento a questa idea” di giusto».
Infatti, la giustizia e il bene
non sono nella natura delle cose e tanto meno nella natura umana poiché la
natura umana è quella di essere, come diceva Kant, un legno così storto che
sarebbe impensabile che da essa si possa ricavare qualcosa di perfettamente
dritto. Ci si può invece approssimare a questa idea del giusto in un perenne
movimento di ricomposizione e di nuovo conflitto, di fatto non esiste società
umana senza conflitto; e, se esistesse, con la soppressione del conflitto,
sarebbero distrutti i valori umani più importanti.
La risposta non è quindi nella
ricerca dell’unanimità nella scelta e
nella ricerca delle soluzioni dei problemi, come vuole la teoria contrattualista
di Rousseau che considera la società come un patto formulato dalla volontà
generale. «La volontà generale di Rousseau è una costruzione rischiosa, perché
implica concordanza di voci dove invece c’è, per la natura delle cose,
molteplicità di voci.» Rousseau risolve di fatto la dicotomia tra eguaglianza e
libertà attraverso la netta soppressione della prima, dando vita ad un
paradosso che nega entrambe.
Ancor più insidiosa e minacciosa
per la libertà umana appare la posizione di Hegel il quale vuole affermare e
riconoscere l’esistenza di una volontà oggettiva che “è il razionale in sé nel
suo concetto” sia che esso venga conosciuto e voluto dai singoli oppure no.
Questo schema propone una oggettivazione della ragione che è stata la
tentazione dei partiti politici che evocato a sé stessi questa ragione
oggettivata tanto da considerare superfluo il consenso e la volontà libera dei
singoli individui. I totalitarismi europei hanno in qualche modo portato a
sintesi teorie simili a queste.
Bisogna dissuadere l’uomo dalla
ricerca di una società umana senza conflitto, tanto più dissuadere dal
tentativo di realizzarla. La risposta non è, dunque, la ricerca dell’unanimità
e ancor meno di una superiore verità “oggettiva”, ma la realizzazione di
istituzioni che permettano di sostenere i contrasti senza annullare le libertà
fondamentali».
La costituzione giusta, nel
senso di Kant, è nell’ordinamento liberale, nella signoria del diritto e della
democrazia politica. È l’ordine che può essere riconosciuto come appropriato al
legno curvo della natura umana. Un ordine che mira alla virtù, «virtù che è una
protezione nei confronti delle sollecitazioni e delle tentazioni del totalitarismo.»
Un ordine che regolamenta il conflitto generale ed è in grado di trasformarlo
da forza distruttiva in forza produttiva e creatrice. «Kant ne era consapevole.
Per lui il conflitto domato è la fonte del progresso.»
Quindi progresso, chances
di vita e conflitto sono aspetti imprescindibili per una società giusta.
[1]
Le citazioni sono tratte da Ralf Dahrendorf, Erasmiani. Gli
intellettuali alla prova del totalitarismo. Laterza Bari 2007. Ovviamente Dahrendorf non è un costruttivista, come altri esponenti del pensiero politico e sociologico citati in questo blog, La volontà sincretica tuttavia ci consente ad usare alcune idee in chiave costruttivista.