Nella società fondata sullo Stato di diritto,
la virtù dell’uomo si esaurirebbe nell’osservanza dei propri
doveri e nell’esercizio dei propri diritti. Ma, secondo Bobbio la
virtù
non si contrappone al dovere,
entrambi possono concorrere alla realizzazione del Bene.
La
mitezza, in rapporto al dovere, si presenta come una
virtù sociale che
sta al centro e che è misura delle relazioni con i nostri simili.
Secondo Aristotele, la mitezza
è “disposizione buona rivolta agli altri”. In quanto tale è
somigliante ad altre virtù sociali, come, ad esempio la giustizia
La
mitezza non è da confondere con la docilità, caratteristica più
attinente al comportamento di chi non si sdegna, ed ha una
consapevole accettazione del male quotidiano. La mitezza, al
contrario, è attiva, si indigna di fronte al male e
all’ingiustizia. Non fugge, ma reagisce, e la sua azione è volta
ad aiutare l’altro a vincere il male. La mitezza, pertanto, può
essere considerata come “una disposizione d’animo che rifulge
solo alla presenza dell’altro: il mite – dice Bobbio – è
l’uomo di cui l’altro ha bisogno per vincere il male dentro di
sé.
Quindi
la mitezza non è mai un atteggiamento verso sé stessi; ma
atteggiamento verso gli altri che, proprio per ciò, non cade mai né
nella sopravvalutazione né nella sottovalutazione di sé stessi.
Per questo non va confusa con la modestia, che deriva da una
mancanza di stima per sé stessi. Il mite non è modesto. La mitezza
inoltre va oltre la tolleranza perché cerca il l’altro, il
diverso da sé senza temerlo o adularlo.
La
mitezza non va confusa con la remissività. Il remissivo, l’umile,
può essere un testimone nobile, ma senza speranza, di questo mondo,
mentre “Il mite può essere configurato come l’anticipatore di
un mondo migliore”. Il mite è per questo persona serena, ilare,
soddisfatta di sé stessa, in quanto intimamente convinta della
propria aspirazione ad una migliore condizione, “una condizione
che egli prefigura nella sua azione quotidiana”.
La
mitezza ha come virtù complementare la semplicità. La semplicità
si può pensare come una disposizione unita alla limpidità, alla
chiarezza, al rifiuto della simulazione: una predisposizione,
appunto verso la mitezza.
Al contrario, “difficilmente l’uomo complicato può essere
disposto alla mitezza: vede dappertutto intrighi e trame e insidie,
e quindi tanto è diffidente verso gli altri quanto insicuro verso
sé stesso.” Il mite ha una concezione erasmiana dell’altro e
dei rapporti umani, una concezione opposta alla visione dell’uomo
presente in Hobbes o Machiavelli. Il mite è figlio di
quell’Illuminismo che vede l’umanità sempre come fine e mai
come un mezzo. Non a caso, si potrebbe dire, Macron ha voluto
rilanciare una forma di neo illuminismo nella contrapposizione al
populismo.
Bobbio
considera la mitezza come prefigurazione della città ideale, è la
mitezza che rende il mondo migliore, in quanto essa prefigura e fa
pensare che “la città ideale non sia quella fantasticata e
descritta sin nei più minuti particolari dagli utopisti, dove regna
una giustizia tanto rigida e severa da diventare insopportabile, ma
quella in cui la gentilezza dei costumi sia diventata una pratica
universale.”
La
scelta della mitezza è per Norberto Bobbio una scelta “metafisica”
che affonda le radici in una concezione del mondo. Una scelta oggi
tanto più impellente a fronte di una politica e che sta scadendo
sempre più verso il conflitto e la reciproca delegittimazione. Un
valore impolitico che è al contempo presupposto per ogni relazione
politica; fondato sul rispetto reciproco e il rispetto delle regole
che presiedono alla democrazia liberale, perché la politica diventi
perseguimento del Bene
comune
e conquista e mantenimento del potere.
Dahrendorf iscrive Bobbio tra gli
intellettuali “erasmiani”, che, nel ventesimo secolo, si
opposero alle “tentazioni” totalitarie e autoritarie,
rappresentanti di una opposizione morale, prima che politica, al
totalitarismo. Una opposizione profonda, che va alla radice delle
relazioni umane, perché ritiene che queste non possono fondarsi che
sulla libertà e sul riconoscimento dell’altro. Quindi
intellettuali che considerano il totalitarismo e l’autoritarismo
nemico assoluto della dignità e della libertà umana. Il populismo
è autoritarismo in modo sostanziale, nel richiamo illiberale al
legame immediato tra corpo sociale e istituzioni che annulla la
politica e la libertà, e, con essa, impedisce alla fine, il
perseguimento del Bene comune e
delle virtù come appunto la mitezza,
cosa di cui ogni giorno si dà ormai spettacolo sulla scena della
politica. Per questo l’opposto della politica urlata è soltanto
la politica ragionata, il dialogo, appunto l’esercizio della
mitezza
che deve diventare un programma di educazione alle virtù.
1
Citazioni da Norberto Bobbio, Elogio della mitezza e altri
scritti morali, Il Saggiatore, Milano 2010 (prima edizione 1998)
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