mercoledì 6 giugno 2018

Mitezza: antidoto al populismo

La mitezza, è la virtù, dice Norberto Bobbio, che va alla radice morale delle relazioni ed è, per così dire, l’elemento base che sostiene la persona umana. L’esercizio della mitezza predispone alla realizzazione della libertà propria e dell’altro; in quanto, la libertà, è innanzitutto libertà morale e virtù, e, per questo, sostanza ed essenza dell’individualità. Attraverso la definizione della mitezza, Bobbio si pone il problema della composizione di una “dottrina della virtù”1.  
Nella società fondata sullo Stato di diritto, la virtù dell’uomo si esaurirebbe nell’osservanza dei propri doveri e nell’esercizio dei propri diritti. Ma, secondo Bobbio la virtù non si contrappone al dovere, entrambi possono concorrere alla realizzazione del Bene.  
La mitezza, in rapporto al dovere, si presenta come una virtù sociale che sta al centro e che è misura delle relazioni con i nostri simili. Secondo Aristotele, la mitezza è “disposizione buona rivolta agli altri”. In quanto tale è somigliante ad altre virtù sociali, come, ad esempio la giustizia
La mitezza non è da confondere con la docilità, caratteristica più attinente al comportamento di chi non si sdegna, ed ha una consapevole accettazione del male quotidiano. La mitezza, al contrario, è attiva, si indigna di fronte al male e all’ingiustizia. Non fugge, ma reagisce, e la sua azione è volta ad aiutare l’altro a vincere il male. La mitezza, pertanto, può essere considerata come “una disposizione d’animo che rifulge solo alla presenza dell’altro: il mite – dice Bobbio – è l’uomo di cui l’altro ha bisogno per vincere il male dentro di sé.
Quindi la mitezza non è mai un atteggiamento verso sé stessi; ma atteggiamento verso gli altri che, proprio per ciò, non cade mai né nella sopravvalutazione né nella sottovalutazione di sé stessi. Per questo non va confusa con la modestia, che deriva da una mancanza di stima per sé stessi. Il mite non è modesto. La mitezza inoltre va oltre la tolleranza perché cerca il l’altro, il diverso da sé senza temerlo o adularlo. 
La mitezza non va confusa con la remissività. Il remissivo, l’umile, può essere un testimone nobile, ma senza speranza, di questo mondo, mentre “Il mite può essere configurato come l’anticipatore di un mondo migliore”. Il mite è per questo persona serena, ilare, soddisfatta di sé stessa, in quanto intimamente convinta della propria aspirazione ad una migliore condizione, “una condizione che egli prefigura nella sua azione quotidiana”.  
La mitezza ha come virtù complementare la semplicità. La semplicità si può pensare come una disposizione unita alla limpidità, alla chiarezza, al rifiuto della simulazione: una predisposizione, appunto verso la mitezza. Al contrario, “difficilmente l’uomo complicato può essere disposto alla mitezza: vede dappertutto intrighi e trame e insidie, e quindi tanto è diffidente verso gli altri quanto insicuro verso sé stesso.” Il mite ha una concezione erasmiana dell’altro e dei rapporti umani, una concezione opposta alla visione dell’uomo presente in Hobbes o Machiavelli. Il mite è figlio di quell’Illuminismo che vede l’umanità sempre come fine e mai come un mezzo. Non a caso, si potrebbe dire, Macron ha voluto rilanciare una forma di neo illuminismo nella contrapposizione al populismo. 
Bobbio considera la mitezza come prefigurazione della città ideale, è la mitezza che rende il mondo migliore, in quanto essa prefigura e fa pensare che “la città ideale non sia quella fantasticata e descritta sin nei più minuti particolari dagli utopisti, dove regna una giustizia tanto rigida e severa da diventare insopportabile, ma quella in cui la gentilezza dei costumi sia diventata una pratica universale.” 
La scelta della mitezza è per Norberto Bobbio una scelta “metafisica” che affonda le radici in una concezione del mondo. Una scelta oggi tanto più impellente a fronte di una politica e che sta scadendo sempre più verso il conflitto e la reciproca delegittimazione. Un valore impolitico che è al contempo presupposto per ogni relazione politica; fondato sul rispetto reciproco e il rispetto delle regole che presiedono alla democrazia liberale, perché la politica diventi perseguimento del Bene comune e conquista e mantenimento del potere. 
Dahrendorf iscrive Bobbio tra gli intellettuali “erasmiani”, che, nel ventesimo secolo, si opposero alle “tentazioni” totalitarie e autoritarie, rappresentanti di una opposizione morale, prima che politica, al totalitarismo. Una opposizione profonda, che va alla radice delle relazioni umane, perché ritiene che queste non possono fondarsi che sulla libertà e sul riconoscimento dell’altro. Quindi intellettuali che considerano il totalitarismo e l’autoritarismo nemico assoluto della dignità e della libertà umana. Il populismo è autoritarismo in modo sostanziale, nel richiamo illiberale al legame immediato tra corpo sociale e istituzioni che annulla la politica e la libertà, e, con essa, impedisce alla fine, il perseguimento del Bene comune e delle virtù come appunto la mitezza, cosa di cui ogni giorno si dà ormai spettacolo sulla scena della politica. Per questo l’opposto della politica urlata è soltanto la politica ragionata, il dialogo, appunto l’esercizio della mitezza che deve diventare un programma di educazione alle virtù.
1 Citazioni da Norberto Bobbio, Elogio della mitezza e altri scritti morali, Il Saggiatore, Milano 2010 (prima edizione 1998)

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Perché non possiamo non dirci liberali. Il liberalismo critico di Raymond Aron.

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