Il
crepuscolo del "secolo breve" sembrò segnare la fine delle ideologie
che avevano ispirato le scelte e le lotte degli uomini per oltre un
secolo. L'alba del nuovo millennio si è annunciata con la fine dei parti
politici che di quelle ideologie di cui sono
stati, nel bene e nel male, i portatori. Ciò vuol dire che hanno
esaurito la funzione anche i sistemi sociali, istituzionali e i valori a
cui gli uomini e le donne per oltre due secoli si sono ispirati nella
loro costruzione?
No.
Al contrario oggi viviamo un'era in cui eguaglianza, libertà,
solidarietà e miglioramento delle condizioni di esistenza, estensione
dei vantaggi del progresso esteso a sempre più vaste popolazioni, insieme alle responsabilità a cui esso induce. Democrazia
e stato di diritto, affermazione del "referente antropologico" della
società nata dall'Illuminismo e dalla rivoluzione scientifica posto nel
valore della vita umana, della dignità umana e della qualità della vita,
nella salute come nell'istruzione. Viviamo in un'era in cui tutte le
conquiste della società moderna, figlia di Prometeo, si stanno
diffondendo all'intero globo, affermando la loro natura di valori
universali. No, no è finita la funzione della politica perché dove
finisce la politica, finisce la libertà umana e la liberazione della
condizione umana che con la modernità e l'Illuminismo si è affermata
nell'orizzonte umano. Oltre lo stesso
concetto di Prodotto Nazionale Lordo, come sostiene Amartya Sen "Lo
sviluppo può essere visto come un processo di espansione delle libertà
reali godute dagli esseri umani" (da Lo sviluppo è libertà. Perché non c'è crescita senza democrazia, Mondadori 2000).
Nell'espansione universale di quei valori sorti come appannaggio di un ridotto gruppo di
nazioni del continente europeo, nasce la crisi del vecchio mondo, il
mondo delle grandi ideologie. Una crisi che annuncia un nuovo mondo, ma
che è sempre lo stesso mondo umano nato dalla rivoluzione scientifica,
che si afferma con nuovi canoni di pensiero, nuovi strumenti, nuove
competenze e nuove idee intorno a cui aggregare gli uomini e le
società.
Questo
nuovo mondo sta scuotendo le istituzioni delle vecchie società fondate
sullo Stato liberale e democratico e sta scuotendo le istituzioni della
politica. Un terremoto che porta il cosiddetto occidente alla perdita
del privilegio di essere il centro del mondo, e mentre le sue conquiste
si espandono
si perde l'esclusività per quei paesi che per due secoli hanno goduto
in modo esclusivo dei vantaggi della modernità. Una perdita che ha con
sé la conseguenza del divaricarsi delle differenze all'interno delle
vecchie società democratiche liberali; una perdita che porta alla
reazione del populismo sovranista, una reazione di chiusura paradossalmente nel
momento in cui il mondo vede una espansione dei valori su cui era nata
la società moderna. Ma la reazione populista sovranista non scongiura il
rischio della perdita dei privilegi e dell'estinzione, anzi la
favorisce e la
prepara. L'estinzione che viene dalla incapacità di adattamento al
mutamento dell'ambiente. Estinzione per scongiurare la quale bisogna
invece andare incontro al proprio destino con la capacità di adattarsi e
di salire sulla scala dell'evoluzione.
Quindi
non è finita la politica ma è la fine delle vecchie società forgiate
nell'ottocento come stati nazionali che oggi devono trovare la loro
strada nella società universale nata dalla diffusione della scienza e
dalla tecnologia e dall'espansione di quel modello di società che porta
sempre più popoli verso il godimento di quei diritti di cittadini,
diritti civili e sociali, e del benessere di quello che solo alcuni
decenni fa era considerato il primo mondo. Oggi le popolazioni europee e
"occidentali" devono trovare la propria strada verso il mondo della
globalizzazione, che non riguarda solo gli altri ma tocca noi stessi in
prima persona. Perché, se e le cose stanno così, il sovranismo e la chiusura sarebbero la morte definitiva di quelle società che sono state la culla della civiltà. Per questo la politica non ha finito il suo compito. Infatti, è ancora compito della politica trovare gli strumenti, definire i valori e indicare gli obiettivi e le vie da seguire verso quel nuovo mondo dei diritti universali dell'era della globalizzazione.
Nell'era
della globalizzazione il progresso scientifico e lo sviluppo della
tecnica non si presentano sempre con gli stessi aspetti che hanno avuto
nella loro società e civiltà originaria, cioè attraverso la libertà e
l'affermarsi della democrazia. Anche se la crescita del benessere porta
alla richiesta di nuovi diritti di cittadinanza, non sempre ciò si
produce secondo i canoni che hanno portato all'affermarsi del referente
delle società occidentali che hanno posto al centro dei loro sforzi il
rispetto della vita e della dignità umana. Si tratta di un referente che
è il frutto di millenni di civiltà e che non si propaga semplicemente
con i costrutti del progresso e che per affermarsi anche in occidente ha
avuto bisogno di società fondate sullo stato di diritto e sulla
democrazia liberale che riconosce il valore della vita, della dignità
umana e della libertà, della libertà politica in particolare.
Perché, come dice Aron "Le
libertà politiche sono la condizione dei più alti valori. Le libertà
intellettuali e le procedure democratiche sono un argine all'arbitrio
del potere e rendono gli uomini capaci di ragione e moralità, né
conformisti né ribelli ma cittadini critici e responsabili che danno
vita ed eccellenza alle istituzioni. Liberi nei confronti della società
di cui rispettano le leggi e denunciano le imperfezioni. Liberi perché
rivendicano il diritto di cercare, se occorre, la verità e liberi di
cercare la propria salvezza."
Per
questo oggi c'è bisogno di più politica, e non di meno. Una politica
che pur sempre deve esprimersi attraverso forme organizzative che siano,
innanzi tutto, coerenti con i valori che pretendono di affermare.
Quindi una nuova forma per la politica, e una nuova forma per gli stessi valori dell'umanità e della società universale. Macron
è uno dei precursori della politica progressista della società
universale. Una politica che valorizza la storia e l'identità dei popoli
mentre si apre al mondo e ai valori universali.
Non è dunque un caso se Macron, nel saluto per la vittoria, abbia citato l’Illuminismo, e i valori della Rivoluzione Francese, il cui spirito “minacciato” va difeso “ovunque”. Macron
ha posto l’Europa dell’Illuminismo al centro del suo disegno per far
uscire la Francia dalla crisi economica e dalla crisi di identità in cui
è avvolta come e più dell’Italia. Macron
è un liberale. Un liberale che, contro gli “utopisti del passato”,
crede fortemente nella autodeterminazione dell’individuo: “il progetto
che la Francia reca in sé (…) è un progetto vecchio di secoli, (…) Dal
Rinascimento al secolo dei Lumi, dalla Rivoluzione americana alla
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e all’antitotalitarismo,
la Francia ha contribuito a illuminare il mondo per liberarlo dal giogo
dell’ignoranza, dalle religioni oscurantiste, della violenza negatrice
dell’individuo”.
Macron sposta, l'asse della conflittualità per contrastare il populismo. Cuore
della conflittualità non è la classe, ma è la modernità stessa e, con
essa, i valori del secolo dei lumi, lo sviluppo della tecnica che riduce
i posti di lavoro creando ricchezza solo per alcuni, perdita della speranza e paura per la maggioranza.
Macron
ha salutato la sua vittoria come la vittoria della speranza contro la
paura e i suoi eserciti populisti. Una vittoria della libertà contro i
nemici della libertà dell’uomo, contro il nichilismo e l’irrazionalismo
che scaturisce dalla delusione causata dallo scontro tra le ispirazioni e
i fatti. Quella di Macron
è la vittoria dell’ottimismo; quell’ottimismo che trova dei valori
positivi nella nostra storia. Un ottimismo pragmatico, che crede che
l’uomo possa realizzare le proprie aspirazioni attraverso l'assunzione
di responsabilità, la ragionevolezza, e così ridare forza alla speranza e
alle ispirazioni. Questi sono i valori e l’utopia sociale ed europeista
del liberalismo di Macron. Quella di Macron si presenta come una utopia realista, in cui la libertà precede l’uguaglianza (rovesciando l’assioma del marxismo),
che diventa uguaglianza nelle opportunità che possano consentire a
chiunque, indipendentemente dalle condizioni di nascita, di essere
“diverso” (non “uguale”!) e di contribuire con la sua diversità
all’arricchimento e al benessere della società, in particolare dei più
svantaggiati (John Rawls).
Laddove per il liberalismo classico la società è una finzione. Liberalismo sociale è costruito sui valori, sulla responsabilità, sui principi
che rendono possibile una “politica ragionevole”, in grado di farsi
carico del miglioramento della condizione della maggioranza promovendo
lo sviluppo economico. Liberalismo come impegno morale per una società
più equa, da promuovere attraverso lo sviluppo della scienza, della
tecnica, delle capacità produttive, dell’economia di mercato. Liberalismo
come impegno politico “ragionevole”, per porre rimedio alle
contraddizioni e alle disuguaglianze che, inevitabilmente si incontrano
nelle curve e nelle oscillazioni del progresso.
Un liberalismo senza “ideologia liberale”, ma anche distante dalle
ideologie del socialismo (Raymond Aron). Un liberalismo che è una
attitudine morale ispirata dall’ottimismo per le sorti dell’umanità. Una
attitudine come scelta di responsabilità e impegno, per mettersi in
gioco senza la guida delle ideologie. Attitudine che ha la propria
stella polare nella convinzione che tutti gli individui godano degli
stessi diritti e le stesse libertà nel promuovere la propria vocazione.
È
questa la politica di cui abbiamo oggi bisogno, la politica per un
movimento riformista del liberalismo sociale nel mondo globale.
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