Prudentia, cioè la saggezza, è la quarta delle virtù
liberali. Nel trattare questa virtù, Dahrendorf mostra quanto, la sua proposta di
“politica della libertà”, deve alla concezione popperiana di ragione.
In senso popperiano la ragione non è una facoltà umana. Noi
non la possediamo come un organo del corpo o le capacità della mente. La
ragione, dice Dahrendorf, citando Popper, «è piuttosto “un atteggiamento di
disponibilità a prestare ascolto ad argomenti critici e ad imparare
dall’esperienza… si può dire che la ragione, come il linguaggio, è un prodotto
della vita sociale.”»[1]
In tale senso per Popper il razionalismo “è un atteggiamento
che cerca di risolvere il maggior numero possibile di problemi mediante un
appello alla ragione, cioè al pensiero chiaro e all’esperienza.”[2] Secondo
Dahrendorf ciò vuol dire che, per Popper, la ragione non coincide con quella
che viene considerata l’intelligenza. Gli esseri umani possono essere più o
meno intelligenti in modo diseguale, ma la ragione invece è ripartita in modo
eguale in quanto essa non appartiene alla natura degli uomini ma è per
l’appunto un prodotto della vita sociale degli uomini e subisce la medesima
sorte che subisce il linguaggio che muta e si sviluppa insieme col mutamento e
l’evolversi delle società. Il concetto di ragione non è molto lontano da ciò
che nel mondo anglosassone viene definito common sense. Ragione assume
il significato di ragionevolezza e abitudine alla critica insieme all’arte di
prestare ascolto alla critica che, in forma di argomentazione, si può chiamare
razionalismo.
Per questa forma di razionalismo non esiste alcuna cogenza,
o meglio non esiste alcun argomento che razionalmente possa portare a
preferirlo ad altre forme di “razionalismo” o “irrazionalismo”, infatti se si
potesse dare un tale argomento saremmo nel pieno di una incoerenza.
E allora secondo quali argomentazioni dobbiamo ritenere che
il razionalismo proposto da Popper sia da preferire evitando al contempo di
cadere in un mondo auto contraddittorio che per affermarsi nega le premesse su
cui si dovrebbe al contrario fondare?
Non può esistere un argomento fondato sulla ragionevolezza
per affermare la preferenza per ragionevolezza. Di fatto «quello che distingue
il razionalista è una irrazionale convinzione che può essere descritta come
“fede nella ragione”. Una simile “forma di razionalismo critico che riconosce
il fatto che il fondamentale atteggiamento razionalistico scaturisce… da una
decisione irrazionale” è un’opzione, una “decisione morale”».
Quindi, conclude Dahrendorf nella sua esplicazione del
razionalismo popperiano, «bisogna arrivare ad una decisione morale. “è la
decisione di legarsi alla ragione”»[4]
Soltanto così è possibile assumere l’istanza razionalista facendo salva la
libertà: la decisione morale di assumere l’atteggiamento del razionalista
mantiene il razionalismo in un ambito di ragionevolezza e di criticità nei
termini di capacità di mettere in “crisi” le proprie ragioni attraverso la
capacità di “apprendere” dalla verifica empirica, dalla negazione e quindi da
un atteggiamento di apertura. È per questo che quello di Popper non è semplice
razionalismo, ma “razionalismo critico”.
Razionalismo critico, che come prospettato da Dahrendorf
presenta un atteggiamento comune in Popper con Aron di fronte al problema della
libertà e della storia.[5]
Popper, come Aron e Berlin, è convinto che la ragione non è
tutto, bisogna ammettere una sfera di “irrazionalismo consentito” all’interno
del quale ricade ciò che si sottrae alla ragione e a quel mondo che da essa può
essere dominato. Tuttavia, per il razionalismo critico esiste la necessità di
andare oltre al fatto che si tratti di una questione di fede: fede nella
ragione o fede nelle passioni. L’irrazionalismo sarebbe, in questo quadro
conflittuale, dalla parte delle passioni, mentre il razionalismo sarebbe dalla
parte della ragione. La debolezza principale del liberalismo classico è di
essere nato da questa dicotomia che lo vuole freddo e razionale come la
decisione economica. Mentre dall’altro lato le passioni non ascoltano la
ragione e la mettono da parte.
Ma se anche la ragione può essere considerata sotto una
forma di dedizione, in quanto non accetta di essere messa da parte dalle
passioni, allora esiste anche, probabilmente, una sorta di “passione della ragione”.
In che modo però la passione e la ragione possono essere
tenute insieme. È la domanda di Weber quando pensava alla Politica come professione. La politica è fatta con la testa, è
quindi un prodotto della ragione e del ragionamento razionale, ma l’agire umano
può essere dispensato e generato soltanto da una forte passione. Questa forma
di ragione appassionata certamente come esercizio per le virtù della libertà.
Si tratta però di una ragione temperata, il cui gridare può essere soffocato
dal rumore generale ma rimane pur sempre «un impulso appassionato a praticare
le virtù che proteggono dal totalitarismo.»[6] Anche
se Popper trascura l’analisi delle passioni di Hume è tuttavia dal suo pensiero
che si può avere una risposta alla dicotomia passione – ragione, nel semplice saper
cogliere la passione della ragione che scaturisce da quella passione che è la
gioia e la speranza e soprattutto la curiosità e l’amore per la verità. Elementi
da cui soltanto la ragione può trarre la sua forza.
[1] Ralf Dahrendorf, Erasmiani. Gli intellettuali
alla prova del totalitarismo. Laterza Bari 2007, p. 68.
[2] Popper in Dahrendorf.
[5] J. Ralws nella nuova
ridefinizione dei principi della Teoria della Giustizia, apre ad una posizione
morale rispetto alla valutazione dei principi fondamentali portando
maggiormente in secondo piano il discorso razionale rispetto alle possibilità
prospettate attraverso la ragionevolezza.